Aristotele formula così la contrapposizione dell’essere al non-essere: «È impossibile che, per il medesimo rispetto, la stessa cosa sia e non sia» (cioè esista e non esista, sia così e non sia così, sia così e sia il contrario di così).
A tale formulazione è essenziale l’espressione «per il medesimo rispetto», giacché se per il medesimo rispetto una cosa non può essere, ad esempio, insieme piccola e grande, invece può ben esserlo sotto rispetti diversi: può essere piccola oggi, grande domani; piccola rispetto a x, grande rispetto a y.
È questo — che verrà chiamato principio di non contraddizione — il principio più saldo e più noto di tutti, che non ha nulla di ipotetico e senza di cui non si potrebbe comprendere o conoscere alcunché. Esso è quindi il principio primo, ossia il fondamento dell’intera conoscenza umana, è la conoscenza intorno alla quale l’uomo non può trovarsi in errore, ed è l’espressione originaria e concreta della ragione — di quella ragione cioè che non è separata, come in Parmenide, dall’esperienza, ma che il pensiero filosofico, a questo punto del suo sviluppo, è riuscito a conciliare con l’esperienza.
Infatti, anche il negatore del primo principio deve dare un significato determinato a quel che dice; è necessario cioè che anche le sue parole abbiano un certo significato e non un altro. Ciò vuol dire che anche il negatore del principio di non contraddizione non intende contraddirsi: appunto perché non consente che le parole da lui usate abbiano e non abbiano il significato che egli conferisce loro. Volendo distruggere la ragione egli è così costretto a ragionare.
Ché se egli fosse indifferente al fatto che le parole da lui usate abbiano un significato determinato, allora il suo discorso non sarebbe nemmeno una negazione del primo principio: egli non direbbe nulla e, dice Aristotele, sarebbe simile a un tronco.
Questa confutazione della negazione del primo principio, contenuta nel libro IV della Metafisica aristotelica, può essere considerata come la prima e più importante indagine volta a stabilire esplicitamente in che senso e perché la filosofia sia un sapere incontrovertibile e quindi necessario e assoluto.
Aristotele chiama noûs l’intellezione degli enti manifesti nella loro intelligibilità, e quindi in quella loro intelligibilità originaria che è espressa dal principio di non contraddizione. Il noûs è quindi l’unità di esperienza (cioè della manifestazione degli enti) e di ragione (principio di non contraddizione), ed è su questa unità che la scienza si fonda.
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