Portraet von Gerti SchieleDue cosche di mafia sono in faida da lungo tempo. Una media di due morti al mese. E ogni volta, tutto il paese sa da quale parte è venuta la lupara e a chi toccherà la lupara di risposta. E lo sanno anche i carabinieri.
Quasi un giuoco, e con le regole di un giuoco. I giovani mafiosi che vogliono salire, i vecchi che difendono le loro posizioni. Un gregario cade da una parte, un gregario cade dall’altra. I capi stanno sicuri: aspettano di venire a patti. Se mai, uno dei due, il capo dei vecchi o il capo dei giovani, cadrà dopo il patto, dopo la pacificazione: nel succhio dell’amicizia.
Ma ecco che ad un punto la faida si accelera, sale per i rami della gerarchia. Di solito, l’accelerazione ed ascesa della faida manifesta, da parte di chi la promuove, una volontà di pace: ed è il momento in cui, dai paesi vicini, si muovono i patriarchi a intervistare le due parti, a riunirle, a convincere i giovani che non possono aver tutto e i vecchi che tutto non possono tenere. L’armistizio, il trattato. E poi, ad unificazione avvenuta, e col tacito e totale assenso degli unificati, l’eliminazione di uno dei due capi: emigrazione o giubilazione o morte. Ma stavolta non è così.

I patriarchi arrivano, i delegati delle due cosche si incontrano: ma intanto, contro ogni consuetudine e aspettativa, il ritmo delle esecuzioni continua, più concitato, anzi, e implacabile. Le due parti si accusano, di fronte ai patriarchi, reciprocamente di slealtà. Il paese non capisce più niente, di quel che sta succedendo. E anche i carabinieri. Per fortuna i patriarchi sono di mente fredda, di sereno giudizio. Riuniscono ancora una volta le due delegazioni, fanno un elenco delle vittime degli ultimi sei mesi e «questo l’abbiamo ammazzato noi», «questo noi», «questo noi no» e noi nemmeno, arrivano alla sconcertante conclusione che i due terzi sono stati fatti fuori da mano estranea all’una e all’altra cosca. C’è dunque una terza cosca segreta, invisibile, dedita allo sterminio di entrambe le cosche quasi ufficialmente esistenti? O c’è un vendicatore isolato, un lupo solitario, un pazzo che si dedica allo sport di ammazzare mafiosi dell’una e dell’altra parte? Lo smarrimento è grande. Anche tra i carabinieri i quali, pur raccogliendo i caduti con una certa soddisfazione (inchiodati lupara quei delinquenti che mai avrebbero potuto inchiodare con prove), a quel punto, con tutto il da fare coi disertori, aspettavano e desideravano che la faida cittadina si spegnesse.

I patriarchi, impostato il problema nei giusti termini, ne fecero consegna alle due cosche perché se la sbrigassero a risolverlo: e se la svignarono, poiché ormai nessuna delle due parti, né tutte e due assieme, erano in grado di garantire la loro immunità. I mafiosi del paese si diedero indagare; ma la paura, il sentirsi oggetto di una imperscrutabile vendetta o di un micidiale capriccio, il trovarsi improvvisamente nella condizione in cui le persone oneste si erano sempre trovate di fronte a loro, li confondeva e intorpidiva. Non trovarono di meglio che sollecitare i loro uomini politici a sollecitare i carabinieri a un’indagine seria, rigorosa, efficiente pur nutrendo il dubbio che appunto i carabinieri, non riuscendo ad estirparli con la legge, si fossero dati a quella caccia più tenebrosa e sicura. Se il governo, ad evitare la sovrappopolazione, ogni tanto faceva spargere il colera, perché non pensare che i carabinieri si dedicassero ad una segreta eliminazione dei mafiosi?
Il tiro a bersaglio dell’ignoto, o degli ignoti, continuava. Cade anche il capo della vecchia cosca. Nel paese è un senso di liberazione e insieme di sgomento. I carabinieri non sanno dove battere la testa. I mafiosi sono atterriti. Ma subito dopo il solenne funerale del capo, cui fingendo compianto il paese intero aveva partecipato, i mafiosi perdono quell’aria di smarrimento, di paura. Si capisce che ormai sanno da chi vengono i colpi e che i giorni di costui sono contati. Un capo è un capo anche nella morte: non si sa come, il vecchio morendo era riuscito a trasmettere un segno, un indizio, e i suoi amici sono arrivati a scoprire l’identità dell’assassino. Si tratta di una persona insospettabile: un professionista serio, stimato; di carattere un po’ cupo, di vita solitaria; ma nessuno nel paese, al di fuori dei mafiosi che ormai sapevano, l’avrebbe mai creduto capace di quella caccia lunga, spietata e precisa che fino a quel momento aveva consegnato alle necroscopie tante di quelle persone che i carabinieri non riuscivano a tenere in arresto per più di qualche ora. E i mafiosi si erano anche ricordati della ragione per cui, dopo tanti anni, l’odio di quell’uomo contro di loro era esploso freddamente, con lucido calcolo e sicura esecuzione. C’entrava, manco a dirlo, la donna.

Crediti
 Leonardo Sciascia
 Western di cose nostre
 SchieleArt •  Portraet von Gerti Schiele • 




Quotes per Leonardo Sciascia

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Non per il partito… Cioè: per il partito, si capisce, ma in subordine… Come tutti, qui… C'è chi è legato ad un uomo politico da un sussidio, da un coppo di spaghetti, da un portodarme o da un passaporto; e chi, come me, è legato dalla stima personale, dal rispetto, dall'amicizia… E pensi al grande sacrificio, per me, di uscire di casa per andare a dargli il voto.  A ciascuno il suo

È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia un cretino. [...] e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto, tutte le volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l'olio e il vino dei contadini.  Nero su nero

Lo scetticismo non è, in effetti, l'accettazione della sconfitta, ma il margine di sicurezza, di elasticità, per cui la sconfitta - già prevista, già ragionata - non diventa definitiva e mortale. Lo scetticismo è salutare. È il miglior antidoto per il fanatismo. Impedisce cioè di assumere idee, credenze e speranze con quella certezza che finisce con l'uccidere l'altrui libertà e la nostra... Lo scetticismo io lo vedo dunque, come la valvola di sicurezza della ragione. E così il pessimismo.

Tutti amiamo il luogo in cui siamo nati e siamo portati ad esaltarlo. Ma Racalmuto è davvero un paese straordinario. Oltre al Circolo e al Teatro, che richiamava un tempo le compagnie più in voga, di Racalmuto amo la vita quotidiana, che ha una dimensione un po' folle. La gente è molto intelligente, tutti sono come personaggi in cerca d'autore…

Mi era venuto il furore di vedere ogni cosa dal di dentro, come se ogni persona ogni cosa ogni fatto fosse come un libro che uno apre e legge: anche il libro è una cosa, lo si può mettere su un tavolo e guardarlo soltanto, magari per tener su un tavolino zoppo lo si può usare o per sbatterlo in testa a qualcuno: ma se lo apri e leggi diventa un mondo; e perché ogni cosa non si dovrebbe aprire e leggere ed essere un mondo?  L'antimonio