Il racconto mitologico era sia uno strumento per fugare la paura, sia un sistema per spiegarsi fenomeni impossibili da comprendere allo stato delle conoscenze passate. Ha avuto un ruolo fondamentale, quello di incorporare elementi catastrofici nelle società tradizionali che potevano cosí tramandarli. Una forma di autoprotezione che funzionava anche per altre situazioni critiche, come la guerra. E le catastrofi si narrano ancora oggi, con linguaggi diversi, ma anche poetici e melodici, basti pensare a Fabrizio De André e alla sua Dolcenera (1996) che trae spunto dalle alluvioni di Genova: nessun esperto ha saputo raccontare meglio di lui quel fenomeno. Le strofe della canzone (a parte quelle che si riferiscono alla moglie di Anselmo) andrebbero imparate a memoria: «Acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti… | Acqua per fotografie | per cercare i complici da maledire». Le metafore usate da De André sono folgoranti e si riferiscono alla terrificante alluvione di Genova del [7 Ottobre] 1970, quando a Bolzaneto, in una sola ora, piovve tutta l’acqua che pioveva in media in un anno (oltre novecento millimetri di pioggia). L’acqua dell’alluvione è dolce, rispetto a quella del mare, e nera, carica di detriti e sporcizia, è un’acqua che «porta via la via» (ovvio, dove le strade sono state costruite sopra i fiumi), che «butta giù le porte» e che «ammazza e passa oltre». Ma due sono i cenni che mi colpiscono di più: quello delle bare strappate dal cimitero di Staglieno (dove poi è stato sepolto lo stesso De Andre’), un fatto davvero accaduto, e la metafora dell’alluvione come «tonnara di passanti», che cantata con quella straordinaria voce imperturbabile e insieme indignata, racconta esattamente come sono state uccise le vittime di quel disastro e l’amaro che ci deve lasciare in bocca per sempre.
Acqua per fotografie
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