Vi è una vecchia faccenda di cui tutti parlano, parlano a sé stessi, ma di cui nessuno nella vita ordinaria vuole parlare pubblicamente, benché capiti pubblicamente e in ogni istante nella vita ordinaria, e, per una specie di nauseabonda tartuferia generale, nessuno voglia confessare di essersene reso conto, di averla vista e di averla vissuta. Questa faccenda porta un nome: affatturamento generale, e tutti vi partecipano poco o tanto, un giorno più l’altro meno, ma pretendendo di non saperlo, e volendo nascondere a sé stessi di parteciparvi una volta con l’inconscio una volta con il subconscio, e sempre più con tutta la coscienza. Lo scopo di queste fatture è d’impedire un’azione intrapresa da anni e che consiste nell’uscir fuori da questo mondo che puzza e di farla finita con questo mondo che puzza.
La gente è stupida. La letteratura, svuotata. Non v’è più niente né nessuno, l’anima è insana, non v’è più amore, e neppure odio, tutti i corpi sono rimpinzati, le coscienze rassegnate. Non vi è neppure inquietudine, che è passata nel vuoto delle ossa, non vi è nient’altro che un’immensa soddisfazione d’inerti, di buoi d’anime, di servi dell’imbecillità che li opprime, e con cui non smettono di copulare notte e giorno, servi volgari come questa lettera con cui cerco di manifestare la mia esasperazione contro una vita condotta da un branco di scipiti che hanno voluto imporre a tutti il loro odio per la poesia, il loro amore per la sciocchezza borghese in un mondo imborghesito integralmente, con tutti i ronron verbali dei sovietici, dell’anarchia, del comunismo, del socialismo, del radicalismo, delle repubbliche, delle monarchie, delle chiese, dei riti, dei razionamenti, dei contingentamenti, del mercato nero, della resistenza. Questo mondo sopravvive ogni giorno, sopravvive a sé stesso, mentre ben altro capita, e ogni giorno anche l’anima è infine chiamata a nascere ed essere.
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