Il tuo nome ignoroLa cancellazione della lettura e/o della scrittura come arti retoriche ha la sua preistoria nella sistematizzazione della retorica e nella neutralizzazione della sua scena inquietante. Su questa questione, Ramón Alcalde (1993) ha segnalato la vulgata sotto la quale è stata sottomessa la retorica: Il discredito della retorica si dovette, precisamente, al fatto che i suoi nemici riuscirono a presentarla come repertorio di forme precostituite e di regole per il loro montaggio servile (p. 91). Il discredito della retorica risiede precisamente nel discredito della verità (compresa come figura delle metafisiche tradizionali), portato a termine dall’arte retorica. Nonostante il discredito della retorica sostenga un disvalore del verosimile in relazione alla verità, l’affermazione di quel discredito, nel caso aristotelico, fonda e parla di una verità non tutta, propria della retorica, vale a dire: la contingenza del verosimile risulta inseparabile da un carattere regolato. Separato dal presupposto in sé della verità, l’arte retorica la espone come qualcosa detto a metà, come una verità divisa, indirettamente mediata dagli artifici artistici dietro i quali è presentata, esposta come non uguale a se stessa. Con ciò, quello che ritorna dal tentativo di sistematizzazione e passa in modo obliquo, il carattere regolato dell’arte retorica, non cessa di interferire e beffare le gerarchie valutative che stabilisce l’interpretazione sistematica della retorica, nella misura in cui ciò che il discorso filosofico pretende allontanare come esteriorità selvaggia, dissociata da esso stesso (il verosimile, la finzione della lettura), si presenta come fondamento che articola ed espone le inconsistenze delle sue formulazioni. Di modo che, al di là di ciò che la sistematizzazione della retorica dice sulla subordinazione dell’arte retorica alla verità e sullo statuto delle sue regole, il contingente delle scene retoriche è inseparabile dalla relazione equivoca degli atti di enunciazione (e/o dei discorsi) con le loro regole, stabilita in ogni esperienza lettrice. Precisamente, per quanto riguarda gli atti di lettura legati alla finzione dell’interpretazione, dopo il peculiare ritorno alla retorica negli scritti di Nietzsche (1955; 1996; Bianchi, 2017, pp. 36-42; De Man, 1990, pp. 126-142), ciò che si mette in questione è la costruzione di un corpus di relazioni graduali attraverso le quali si misura lo statuto contingente dell’interpretazione nella sua scena retorica. Invece, non si mette in questione l’affermazione che, effettivamente, il contingente dell’interpretazione, in termini performativi, in quanto arte, si trovi mediato da un carattere regolato, il quale deve essere pensato come particolare e irriducibile secondo ogni caso.Tra i casi emblematici di questa operazione di lettura data nella filosofia contemporanea, Barbara Cassin (2013), facendo uso del malinteso già instaurato da Nietzsche tra filosofia e filologia, costruisce un’immagine attuale dell’arte retorica come rovescio del discorso filosofico sistematico. In Jacques il sofista. Lacan, lógos e psicoanalisi, Cassin legge come l’instaurazione sistematica del discorso filosofico a partire da Aristotele (e il primato della Verità e del senso) si sostenga nella segregazione dello statuto scandaloso dell’interpretazione che circola nell’uso della tradizione retorica che professano i sofisti. Questo uso ritorna e istituisce il suo effetto di lettura attuale in diverse scene della critica, della filosofia contemporanea e del discorso psicoanalitico, inteso quest’ultimo particolarmente come contraltare di ogni interpretazione sistematica del discorso filosofico in cui si intronizzi il senso come primato o la Verità come precedenza ontologica.

La percezione di somiglianze, iscritta come arte della lettura, riconosce come punto di partenza un uso della tradizione retorica nel quale si sostiene l’idea che ogni artificio lettore si costituisca mediante regole che configurano diverse scene retoriche. Parlare di regole della lettura suppone pensare uno spazio critico in cui l’interpretazione si abilita nell’incrocio tra ciò che funziona come forza di legge negli artifici o costruzioni regolate di una scena retorica e il dominio contingente e inventivo della lettura. In questo senso, il contesto di ricezione della lettura nella percezione di somiglianze è inseparabile dal contesto di produzione. Da lì che la percezione, lungi dall’essere considerata come una facoltà passiva vincolabile a un meccanismo analitico o logico-associativo, o ridotta a una psicologia della coscienza, presuppone un uso inventivo in cui le rappresentazioni non sono identificabili a concetti dell’intelletto (Verstand). Questa distinzione, realizzata nella Critica della facoltà di giudizio di Kant, risulta cruciale per l’emergenza del discorso dell’estetica come disciplina filosofica autonoma e per differenziare il giudizio di conoscenza dal giudizio estetico, legato quest’ultimo a un uso produttivo dell’immaginazione.Questa apertura, che disloca il discorso del criticismo kantiano dall’inquadramento gnoseologico della Critica della ragion pura, non smette di sostenersi in una topica di provenienza idealista e con intenzioni di forgiare una sistematicità filosofico-critica. Per questo, non si deve smettere di avvertire che Benjamin si appropria di questo valore estetico-produttivo della sfera della percezione mediante una trasposizione delle distinzioni collocate nel quadro di una topica idealista verso una critica retorica radicale, in cui il simbolico non è subordinato a una dottrina trascendentale (come Kant delinea lo statuto del simbolico nel paragrafo 59 della Critica della facoltà di giudizio). Nella sua tesi di dottorato (2007a), del 1919, Benjamin troverà nell’interpretazione del simbolico kantiano realizzata dal romanticismo di Jena, particolarmente nei testi di Friederich Schlegel, la possibilità di salvare categorie (come quelle di critica) dai loro fondamenti idealisti e di pensare le opere d’arte al di là dell’istanza della facoltà di giudizio (Urteilskraft) e dell’io riflessivo. Citiamo un passaggio della tesi di dottorato sul concetto di critica d’arte nel primo romanticismo tedesco, in cui Benjamin dettaglia questa questione: La riflessione libera dell’io è una riflessione nell’assoluto dell’arte [Die Ichfreie Reflexion ist eine Reflexion im Absolutum der Kunst] (2007a I-I, p. 47; 1991[172-189] I-I, p. 40). E, poco più avanti, afferma che nel suo lavoro dottorale la critica d’arte dei romantici sarà presentata come riflessione nel medium dell’arte [als die Reflexion im Medium der Kunst]” (2007a I-I, p. 47; 1991 [172-189] I-I, p. 40). L’arte come Medium della riflessione ha la sua collocazione nel momento critico dell’interpretazione estetica, in cui le opere sono esposte mediante la decomposizione poetica che si produce nel linguaggio di ogni opera, mediante la rovina dell’opera (De Man, 1998, p. 259). Questo momento non risulta identificabile per Benjamin con l’interpretazione idealista del discorso della critica filosofica di concepire la forma come predisposizione soggettiva a priori-trascendentale. Al contrario, orienta l’analisi delle opere in collegamento con l’eidetico in quanto ambito del simbolico / incondizionato iscritto nell’ambito dell’arte. Di fatto Benjamin utilizza come omologhi l’atto di percepire somiglianze con quello di produrle. L’associazione percettiva presuppone un effetto di lettura che esiste in quanto si costituisce come atto creatore.

Da questo quadro di analisi, lo statuto delle regole si sottrae a ogni deriva riduzionista di provenienza logicista. Questa risulterà dal modello deduttivo dell’interpretazione, secondo il quale le regole di composizione degli artifici lettori precedono gli effetti di lettura che le opere causano. O, come contraltare di quel modello, la deriva si sosterrà nella progressione induttiva, che riduce il funzionamento e la forma degli artifici lettori a regole generali provenienti dall’accumulo di casi.Nelle sue lezioni sull’estetica, Hegel (1989) avvertiva questo punto di vista esteriore e unilaterale della critica d’arte moderna, sostenuto in inferenze di tipo logico-matematiche prive di un’interpretazione dialettico-temporale ed esenti da categorie filosofiche come quelle di apparenza, verità e idea. Entrambi i modelli riduzionisti conducono per vie che lasciano da parte la relazione equivoca in cui interferiscono gli artifici lettori e le loro regole, relazione che costituisce ciascuno degli artifici in casi irriducibili. Allo stesso tempo, tali forme logico-inferenziali pretendono configurare il discorso della critica o la poetica, tra altri discorsi, che partecipano del campo delle scienze umane e delle scienze sociali come metalinguaggio. Mai assimilabili, né omogeneizzabili dai modelli deduttivi o induttivi dell’interpretazione, le opere eccedono, restano e resistono alle sommatorie inferenziali, esponendosi come oggetti contingenti, falliti della lettura.


Riepilogo
Crediti
 García Elizondo
 Il non somigliante nel somigliante: mimesi e lettura in Walter Benjamin
  Estudios de Filosofía, 68, 11-30. Fonte: Verso una critica retorica. La dialettica tra allegoria e simbolo in Walter Benjamin.
  Pubblicato in linea nel 2023
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