La bellissima Afrodite aveva ricevuto in dono da Efesto il dio del fuoco (suo futuro marito), una cintura che aveva il magico potere di rendere irresistibile chi la indossava. Era un’infallibile arma di seduzione e di essa la dea della bellezza e dell’amore fece largo uso per adescare diversi dei dell’Olimpo e anche molti mortali. Lo stesso Zeus pur essendo, secondo alcune fonti, il padre della dea, a causa della cintura era continuamente sottoposto a una fortissima e lussuriosa tentazione. Infastidito dalla situazione il padre degli dei decise di vendicarsi e umiliare Afrodite facendola innamorare di un semplice mortale. La sua scelta cadde su Anchise, un bel giovane figlio del nobile Capi e della principessa troiana Temista, nonché nipote (per parte di madre) di Ilo fondatore di Troia. Così, resa schiava di un irrefrenabile desiderio, Afrodite si presentò una notte nella capanna sul monte Ida dove Anchise riposava dopo aver pascolato i suoi buoi.
Vergognandosi della sua condizione di dipendenza sentimentale verso un mortale, la dea inizialmente celò la sua vera identità dichiarando di essere una principessa frigia rapita dal dio Ermes e fuggita da questi dopo essere stata condotta sul monte. Da principio sospettoso Anchise credette poi alle parole di Afrodite e, sovrastato da tanta bellezza, si innamorò immediatamente di lei. Trascorsero insieme l’intera notte amandosi su un letto coperto di pelli d’orso e di leone e l’alba li sorprese abbracciati ed esausti a guardarsi negli occhi. A quel punto la donna palesò la sua natura divina rivelando all’uomo di essere la dea dell’amore. Lo sbalordito giovane, terrorizzato dall’idea di avere sacrilegamente svelato la nudità di una dea, la supplicò di risparmiargli la vita, ma Afrodite lo rassicurò dicendogli che non aveva nulla da temere.
Aggiunse poi che da quell’unione sarebbe nato un figlio che avrebbe avuto un futuro glorioso e immortale. Prima di tornare sull’Olimpo la dea, che ancora provava vergogna per quella plebea dipendenza amorosa e forse anche per la conseguente impura maternità che ne sarebbe seguita, impose ad Anchise di mantenere il più assoluto segreto su quanto era accaduto. Il giovane, ancora estasiato dal fascino e dalla regale bellezza della dea, promise incautamente che a nessun mortale avrebbe mai riferito del loro segreto. Rinfrancata la dea si congedò dall’amante con la segreta promessa di futuri incontri e di nuovi piaceri per quell’amore che, indotto da Zeus, appariva solido e indissolubile. Ma il Fato, padrone dei destini degli dei e dei mortali, aveva deciso diversamente.
Alcuni giorni dopo infatti, mentre Anchise era in compagnia di amici suoi pari, tra un bicchiere di vino e una risata uno dei giovani parlando di una ragazza troiana affermò che era talmente bella e seducente che di sicuro avrebbe potuto competere con Afrodite nell’eccellere nell’arte dell’amore. Quasi sovrappensiero e forse reso imprudente dal vino, Anchise rispose che lui le aveva amate entrambe e non era possibile fare alcun tipo di paragone: nessuno sapeva amare come Afrodite. La volgare vanteria indispose talmente Zeus che immediatamente scagliò dal cielo una folgore con l’intenzione di tacitare per sempre la voce blasfema di quell’inverecondo mortale che non solo non aveva mantenuto la promessa fatta ad una dea, ma l’aveva anche esposta ai pettegoli commenti di altri mortali.
L’incauto Anchise sarebbe certamente rimasto ucciso se Afrodite pietosamente non l’avesse salvato proteggendolo con la sua magica cintura. Così, malgrado la saetta fiammeggiante di Zeus fosse ben indirizzata, la folgore colpì la terra ai piedi del giovane. Nonostante lo scampato pericolo però la paura e la tensione causarono al principe troiano vari malanni fisici come la zoppia, la schiena ricurva e, secondo alcuni, anche la cecità. La giovane e virile bellezza di Anchise era scomparsa e ciò comportò per conseguenza il dissolversi del sortilegio amoroso col quale Zeus aveva costretto Afrodite a quella dipendente passione così coinvolgente e irrefrenabile che l’aveva tenuta legata, suo malgrado, a un semplice e anonimo mortale.
La dea della bellezza e dell’amore perse dunque ogni interesse per Anchise e dopo la nascita del bambino abbandonò definitivamente il principe troiano. L’infante, che venne chiamato Enea, fu affidato alle ninfe che lo allevarono nei primissimi anni di vita per poi consegnarlo al padre. Anchise curò la sua educazione delegandola al centauro Chirone noto per la sua saggezza e per la conoscenza delle arti, delle scienze e della medicina. Divenuto adulto Enea fu uno dei più strenui difensori di Troia durante la guerra contro gli Achei e, dopo la caduta della città, fuggi dalle sue rovine fumanti portando sulle spalle, secondo la tradizione, l’ormai anziano e debole genitore. Durante il viaggio verso l’Italia, Anchise morì a Drepano (l’odierna Trapani). Ma secondo Virgilio l’ultimo incontro tra padre e figlio avvenne quando Enea discese negli Inferi aiutato dalla Sibilla e qui, nei Campi Elisi, incontrò l’ombra di Anchise che gli profetizzò la futura nascita e grandezza di Roma.
Il libro dei miti greci di Inger e Edgar d’Aulaire (1962): Una classica raccolta di miti greci, inclusa la storia di Afrodite e Anchise.
Mitologia: Miti di Dei e Mortali di Edith Hamilton (1942): Un’esplorazione completa della mitologia greca e romana, con un resoconto dettagliato del mito di Afrodite e Anchise.
L’Eneide di Virgilio (tradotta da Robert Fagles) (2006): Il poema epico di Virgilio, che ha come protagonista centrale Enea, figlio di Afrodite e Anchise.
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