Figura diametralmente opposta a Orfeo è quella dell’eroe (o meglio, in questo frangente, forse antieroe) greco Ulisse. Il primo incarna il desiderio portato all’estremo livello del sacrificio totale, mentre il secondo si fa solamente portavoce di quella padronanza dell’arte che priva di significato e annulla la capacità mortifera dell’impazienza. Quando invece Ulisse si approssima all’incontro con le Sirene, lo fa con prudenza, egli non è pronto a correre un rischio che lo induca ad azzerarsi e non vuole subire le conseguenze delle sue azioni. Le Sirene rappresentano l’annuncio di un canto disumano e intollerabile proveniente e conducente alla notte dell’arte, sono la potenza di quel canto capace di precipitare l’ascoltatore nell’abisso. Ulisse non è disposto a spingersi così oltre: egli vuole fruire e godere del canto senza però subirne la fascinazione, senza votarsi a quel sacrificio senza il quale non entrerebbe in contatto con l’Opera: per ciò agisce d’astuzia facendosi legare all’albero maestro della sua nave. In tal modo egli evita una morte certa, ma, così facendo
restituisce l’opera alla sfera del giorno rendendola insincera e inautentica e sottraendole il suo reale e intrinseco valore. Ulisse è simbolo di quell’opera che, ormai riconciliata col mondo, ha perso la propria poeticità e si è dissolta in quanto arte, cosa che invece non fa Orfeo che, facendosi pura perdita, realizza la vera natura dell’arte.
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