L’anti-libro nero della psicoanalisi non si limita a un confronto epistemologico o tecnico tra psicoanalisi e terapie cognitivo-comportamentali (TCC), ma solleva questioni cruciali riguardanti le implicazioni etiche dei due approcci. Al cuore di questa riflessione vi è la distinzione, fondamentale nel pensiero lacaniano, tra un’etica del desiderio, propria della psicoanalisi, e un’etica della norma o dell’adattamento, che verrebbe implicitamente o esplicitamente promossa dalle TCC e dal paradigma scientista-manageriale che le sostiene.
L’etica della psicoanalisi, specialmente nella sua formulazione lacaniana (esposta in particolare nel seminario L’etica della psicoanalisi), non si fonda su un insieme di precetti morali o su un ideale di bene universale. Piuttosto, si radica nell’esperienza singolare del soggetto e nel suo rapporto con il desiderio inconscio. Lacan arriva a formulare un imperativo etico specifico per la psicoanalisi: Non cedere sul proprio desiderio. Questo non significa incoraggiare una gratificazione pulsionale sfrenata o un egoismo narcisistico, ma piuttosto invitare il soggetto a riconoscere, assumere e farsi responsabile di quel desiderio singolare che lo costituisce e lo muove, anche quando esso appare enigmatico, contraddittorio o in conflitto con le norme sociali. L’etica psicoanalitica è quindi un’etica della responsabilità soggettiva e della verità del soggetto, una verità che emerge nel corso dell’analisi e che non può essere predeterminata dall’esterno.
Al contrario, L’anti-libro nero della psicoanalisi suggerisce che le TCC, con la loro enfasi sulla modificazione dei comportamenti e dei pensieri disfunzionali o irrazionali, opererebbero implicitamente secondo un’etica della norma e dell’adattamento. L’obiettivo sarebbe quello di rendere il soggetto più funzionale, più efficiente, più conforme a certi standard di benessere e di comportamento definiti dalla società o dal terapeuta. Il sintomo è visto come un errore da correggere, un ostacolo all’adattamento, piuttosto che come un messaggio dell’inconscio o un tentativo di soluzione, per quanto doloroso, a un conflitto interno. In questa prospettiva, la cura rischierebbe di diventare una forma di normalizzazione, un addestramento a pensare e a comportarsi nel modo giusto, potenzialmente a scapito della singolarità del desiderio del soggetto.
Le implicazioni di questa divergenza etica sono profonde. La psicoanalisi, non avendo un modello di salute ideale a cui conformare il paziente, si astiene dal giudicare o dal dirigere la sua vita. L’analista lacaniano, in particolare, adotta una posizione di neutralità benevola e di astinenza, evitando di imporre i propri valori o le proprie soluzioni. Il suo compito è quello di creare uno spazio di parola in cui il soggetto possa esplorare il proprio inconscio, confrontarsi con la propria mancanza e inventare le proprie risposte. Le TCC, invece, partendo da una definizione di ciò che è funzionale o razionale, potrebbero implicitamente veicolare un modello normativo, rischiando di trasformare il terapeuta in un educatore o in un ingegnere del comportamento.
Un’altra differenza etica cruciale riguarda la concezione del sintomo. Per la psicoanalisi, il sintomo ha una funzione e un senso; è una formazione di compromesso che, pur causando sofferenza, permette al soggetto di mantenere un certo equilibrio. Eliminarlo troppo rapidamente, senza averne compreso il significato, potrebbe portare alla sua sostituzione con un altro sintomo o a un peggioramento del malessere. L’etica psicoanalitica implica quindi un rispetto per il sintomo e un lavoro paziente per decifrarlo. Le TCC, mirando a una rapida riduzione sintomatologica, potrebbero trascurare questa dimensione e offrire un sollievo più superficiale.
Inoltre, la psicoanalisi pone l’accento sulla responsabilità del soggetto nel proprio percorso di cura e nella propria vita. Non si tratta di essere vittime passive di condizionamenti o di schemi cognitivi, ma di riconoscere il proprio ruolo, per quanto inconscio, nella produzione della propria sofferenza e nella possibilità di trasformarla. Questo richiamo alla responsabilità è un aspetto fondamentale dell’etica del desiderio.
L’anti-libro nero della psicoanalisi, difendendo l’etica della psicoanalisi, si pone quindi come un baluardo contro una concezione della cura che rischierebbe di trasformarsi in uno strumento di controllo sociale o di omologazione. È una rivendicazione del diritto del soggetto alla propria singolarità, alla propria differenza e alla propria verità, anche quando questa è scomoda o non conforme alle aspettative sociali.
Curato da Jacques-Alain Miller, *L'anti-libro nero della psicoanalisi* difende la psicoanalisi lacaniana dal *Libro nero* e dalle TCC. Critica la quantificazione e medicalizzazione, valorizzando inconscio, desiderio, singolarità del soggetto e un'etica specifica della cura psicoanalitica.
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Il seminario. Libro VII. L’etica della psicoanalisi (1959-1960) di Jacques Lacan
Questo seminario è fondamentale per comprendere la concezione lacaniana dell’etica. Lacan vi esplora il rapporto tra desiderio, legge e godimento, criticando le etiche tradizionali e proponendo un’etica specifica per la psicoanalisi, centrata sull’imperativo non cedere sul proprio desiderio. Analizza figure tragiche come Antigone per illustrare la radicalità del desiderio e il confronto con il Reale. L’opera è cruciale per capire la base etica della critica alle TCC presente ne L’anti-libro nero della psicoanalisi.
Al di là del bene e del male. Preludio di una filosofia dell’avvenire di Friedrich Nietzsche
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Quest’opera fondamentale di Kant espone la sua filosofia morale, basata sull’imperativo categorico: agisci in modo che la massima della tua volontà possa sempre valere come principio di una legislazione universale. L’etica kantiana è un’etica del dovere, razionale e universalistica. Sebbene Lacan dialoghi criticamente con Kant (ad esempio, paragonando l’imperativo categorico al Super-io), la sua etica del desiderio si distingue nettamente dall’etica deontologica kantiana, offrendo un utile termine di confronto.
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