Malgrado un errore molto diffuso della linguistica, una rivelazione è proprio il contrario di un chiarimento: rivelare è l’opposto di svelare, come ricoprire è l’opposto di scoprire; una rivelazione è una nube posta sulla verità, una nube le cui forme convengono all’estetica morale del momento; è, per parlare brutalmente, una menzogna adeguata ai sentimenti e ai bisogni dell’ora in cui è stata formulata e destinata a essere, nell’avvenire, avversata, negata e sostituita, nella misura in cui si trasformano i sentimenti che l’hanno fatta nascere.
Vi è dunque, qui, un bisogno di Dio? E non conviene, al contrario, notare che la supposizione di «rivelazioni», fatte da un dio che parla, o che cammina e vive, è una conseguenza dell’antropomorfismo inconscio che fu, e rimane ancora, il padrone indiscusso delle concezioni teogoniche di buona parte del genere umano?
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