Ogni cosa permane –
ogni cosa rimane –
ogni cosa sussiste –
ogni cosa resiste –
guarda niente è mutato, immagino da che tu partisti
tu, femmina, mutande, mestrui,
tu, io, morremo, morremo
la vecchiaia ci singhiozza
nella spina dorsale,
la gomma attorno agli occhi,
moriamo, morremo, andiamo
a puttane, finiamo in niente,
consumati, cenere, cenere
ci dimentichiamo
c’è sul calendario il giorno
che non ricorderò il tuo nome
c’è il giorno dell’addio
più integrale
quando di tutto il tuo furore
nell’utero, il mio amore
resterà solo una storiella un poco
sudicia, cosa per adolescenti.
Ci amammo, ugh! ci amammo
Desideravo vederti:
desidero la fantasia dei tuoi capelli
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a inaugurare grida
di libertà in ore troppo lente;
la rivolta dei tuoi polsi terrestri
che muovono inizi di bandiere,
e accusano l’indugio, la disperazione
cauta, il tempo.
Mi occorre l’urlo d’uno sguardo
ed oltre la violenza del tuo esistere
io esigo il gesto d’un tuo riso.
Ti paragonerò dunque
amore mio, mio amore
ad un giorno estivo, o trepida rosa
(una rondine sarebbe forse
più acconcia, o una farfalla?)
O non piuttosto, amore mio, mio amore
ti farò simile al tetano
che inchioda le mascelle,
alla lebbra paziente
che accima la carne indifesa
o all’ulcera, fiore perplesso,
o al tumore, autonomo individuo,
che cresce nel corpo
per verginale gravidanza?
Mia rosa mostruosa,
delicata, indolente paranoia.
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