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Appendice

Rovinare le rovine m’offriva il solo mezzo
di percorrere invulnerabile le rovine
e solo il dinamitaggio continuo dell’edificio
in pieno sprofondamento poteva strapparmi
ai denti feroci della negazione non come
uno storpio felice di aver salvato la sua vita
ma come una conclusione infinitamente
causale per la quale si confermano di nuovo
la giustezza di una teoria e la natura concreta
della rivoluzione rigettando ogni soluzione
di compromesso legata all’economia dello sforzo
e all’unilaterale istinto di conservazione
spingendo fino alle frontiere nere della morte
la mia repulsione per la dualità dolore-piacere
dove l’uomo sceglie con tradizionale candore
il suo stupido: che bello il suo immondo: mi piace,
oh come mi piace mi lascio divorare dal dolore
con lo stesso fervore che mi spinge
verso il piacere inconoscibile.

In accordo coi miei precipitati teorici
questa caduta apparente nel dolore
conferma la mia attrazione costante
verso la realtà oggettiva del piacere
di cui la sola prova resta la sorpresa oggettiva
che promette facili piaceri, accessibili
alternati al dispiacere e ripetuti dal rovescio
della medaglia non essendo per me che
l’espressione diretta dell’infelicità, della domenica,
della ricreazione,del matrimonio e di tutto quello
che fa sì che la gioia e la tristezza di questo mondo
siano un unico fardello.
Preferisco la morte, mille volte la morte
al falso piacere che procura la luce del giorno

all’uscita da una miniera alla misera gioia
di camminare all’aria aperta dopo una lunga malattia
al primo ballo, ai primi pantaloni lunghi,
alla prima sigaretta, al primo viaggio,
al primo amore biografico, questi piaceri
apparenti procurati dalla contingenza storica
della mancanza e dalla monotonia temporale
questa gioia dell’uomo stanco
chi si sdraia su un letto, non importa quale
quest’orgia dell’uomo affamato
a cui si dà a mangiare, qualsiasi cosa
tutte queste sproporzioni ingiustificate
nell’economia affettiva dell’oppresso
impediscono la reale oggettivazione del piacere
e soffocano, all’interno di un’eterna rivendicazione,
l’oltrepassamento costante della necessità
[…] Minacciato dal vedere la mia disperazione
in costante dialettica con l’amore
trasformarsi in una disperazione formale
e logica davanti all’impossibilità dell’amore,
mi lascio trasportare dalle mie proprie
negazioni ovunque in qualsiasi trappola
nel trabocchetto dei contrari in bui e
torturanti corridoi dove rischio di perdere,
non soltanto la mia lucidità teorica ma
anche il supporto fisico più elementare
[…] Scambiandosi tra loro il particolare i cristalli
e l’ininterrotto attentato alla natura,
serbando ancora sulle labbra il bacio
indecifrabile dei quanta e dell’inesprimibile,
lo spazio-tempo e non-edipo inseguono
attraverso lo stesso telescopio priapico
e curioso, la costellazione spettrale
dell’oltrepassamento umano.


Crediti
 Ghérasim Luca
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