Avere pazienza nella sofferenza
Stai a letto nel cuore della notte e non riesci a dormire.
Non serve a nulla rigirarsi nel letto, alzarsi e poi coricarsi di nuovo. E una di quelle ore in cui non puoi assolutamente sfuggire a te stesso. Sei preda di pensieri e di moti dell’animo e della memoria, e non hai nessuno con cui parlare, con cui, come al solito, farli sparire. A chi vive in terra straniera vengono davanti agli occhi la casa e il giardino della patria e dell’infanzia, i boschi in cui egli ha vissuto i giorni più sfrenati e indimenticabili della sua adolescenza, le stanze e le scale in cui risuonavano i suoi giochi di fanciullo. Le immagini dei genitori, estranei, seri, invecchiati con lo sguardo pieno di amore, di preoccupazione, di lieve rimprovero. Egli tende la mano cercandone invano un’altra che gli venga incontro, ed è preso da un profondo senso di angoscia e di solitudine mentre si sovrappongono altre figure che in questa ora grave e confusa ci rendono quasi tutte tristi.
Chi è che in gioventù non ha mai fatto penare il prossimo, non ha mai respinto l’amore e disprezzato la benevolenza altrui, chi è che non si è mai lasciato sfuggire per ostinazione e per presunzione una qualche fortuna che aveva a portata di mano, che non ha mai mancato di rispetto a se stesso e agli altri o offeso gli amici con una parola sciocca, con una promessa non mantenuta, un gesto non bello e cattivo?
Ecco, ora stanno lì, di fronte a te, senza dire una parola, e ti guardano tranquillamente, in modo strano, e tu provi vergogna davanti a loro e davanti a te stesso.
Ti vengono in mente tutte quelle notti in cui hai dormito nello stesso letto senza preoccupazioni tra giorni pieni di movimento, di chiasso, di confusione, pensi a quanto tempo è passato da quando hai avuto, come ora, la compagnia di te stesso, muto e senza travestimenti. In tutto quel tempo avevi vissuto intensamente, avevi visto, detto e ascoltato un’infinità di cose, avevi riso, e ora è come se tutto questo non fosse mai avvenuto: ti è estraneo e ti scivola di dosso mentre il cielo azzurro della tua infanzia e le voci di persone ormai da tempo scomparse ti sono incredibilmente vicini e presenti.
Il sonno è uno dei doni più preziosi della natura, è un amico ed un rifugio, un mago e un muto consolatore, e mi fanno una profonda pena tutti coloro che conoscono il tormento di un’insonnia persistente, che hanno imparato ad accontentarsi di mezze ore di febbricitante dormiveglia. Ma non potrei certo amare una persona di cui venissi a sapere che non ha mai avuto in vita sua una notte insonne: dovrebbe essere infatti una creatura dotata dell’anima più semplice e ingenua che si possa immaginare.
Nella nostra vita frettolosa, assordante, sono maledettamente poche le ore in cui l’anima può diventare cosciente di sé stessa, in cui tace la vita dei sensi e quella dello spirito e l’anima sta senza veli davanti allo specchio dei ricordi e della coscienza.
Questo può succedere di fronte ad un grande dolore, forse davanti alla bara della propria madre, forse quando si è gravemente malati, o forse anche alla fine di un lungo viaggio solitario, appena si torna a casa; ma comunque succede sempre in condizioni di disagio e turbamento.
Qui risiede il valore di queste notti insonni. In esse soltanto l’anima è in grado, senza ricevere violenze dall’esterno, di avere la giusta reazione, lo sbigottimento o lo spavento, il giudizio o l’afflizione. La vita interiore che conduciamo quotidianamente non è mai così pura; i sensi vi prendono parte intensamente, il raziocinio si fa avanti mescolando ai moti dell’animo la voce del giudizio, il fascino sottile del confronto e quello distruttivo dell’ironia. L’anima, mezza addormentata, lascia fare e in questo stato di dipendenza e sottomissione vive per giorni e per mesi una vita a metà, fino a che non arriva il suo momento, fino a che non si libera dai ceppi in una inquieta notte insonne e ci sorprende o ci spaventa con tutta l’indomita pienezza della vita che continua a vivere ostinatamente. E per noi un bene prendere a volte coscienza del fatto che la nostra vita non è solo forma, che abbiamo dentro di noi un potere che rimane immutato qualunque cosa succeda all’esterno ed è incorruttibile, che dentro di noi parlano voci sulle quali non abbiamo dominio alcuno. Chi è sincero e ha una qualunque fede, si piega volentieri a queste voci e da queste ore acquista profondità di sguardo.
Vorrei dire ancora qualcosa sull’insonnia come malattia, anche se forse è superfluo: tutti gli insonni sanno infatti ciò che voglio dire. Ma forse leggeranno volentieri ciò che è loro noto ma che non costituisce argomento di conversazione.
Mi riferisco a quella disciplina interiore che l’impossibilità di dormire può dare. Star male, dover aspettare, sono sempre occasioni, da non perdere, di imparare qualcosa. Ma sono soprattutto le malattie nervose ad insegnare qualcosa. «Quello deve aver sofferto molto», si dice di quelle persone che nei gesti e nelle parole mostrano un buon grado di riservata finezza e di delicato riguardo. Non c’è scuola migliore per il dominio del proprio corpo e dei propri pensieri, di quella degli insonni.
Solo chi ha necessità di un tocco delicato, sa toccare con delicatezza.
Solo chi è esposto spesso, nell’inesorabile silenzio delle ore solitarie, al libero corso dei propri pensieri, sa osservare benevolmente e giudicare le cose con amore, sa vedere le ragioni dell’anima e comprendere le debolezze umane. Non è difficile riconoscere quegli uomini che hanno passato molte notti con gli occhi aperti.
Io auguro agli insonni di avere pazienza nella sofferenza e, ove è possibile, di guarire.
A tutte le persone superficiali che ostentano la loro salute, auguro invece una notte in cui giacciano senza dormire, in cui siano costretti a sopportare l’affiorare della loro vita interiore con tutti i suoi rimproveri.

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