Bello e brutto
— Niente è più condizionale, diciamo anzi più ristretto del nostro senso del bello. Quegli che vorrebbe figurarselo, liberato dalla gioia che l’uomo causa all’uomo, perderebbe immediatamente piede. Il «bello in sé» non è che una parola, non è neanche un’idea. Nel bello l’uomo si pone come misura della perfezione; in alcuni casi scelti egli vi si adora. Una specie non può assolutamente fare a meno di affermarsi in questa maniera. Il suo istinto più basso, quello della conservazione e dell’espansione di sé, risplende ancora in simili sublimità. L’uomo s’immagina che è il mondo stesso sovraccarico di bellezze, — egli si dimentica come causa di queste bellezze. Lui solo lo ha colmato, ahimè! di una bellezza umanissima, nient’altro che troppo umana!… Insomma, l’uomo si riflette nelle cose, tutto ciò che gli riflette la sua immagine gli sembra bello: il giudizio «bello» e la sua vanità della specie… Nonpertanto un po’ di diffidenza può far arrivare questa questione all’orecchio dello scettico: il mondo è veramente abbellito perché è precisamente l’uomo che lo considera come bello? Egli lo ha rappresentato sotto una forma umana: ecco tutto. Ma niente, assolutamente niente, ci garantisce che il modello della bellezza sia l’uomo. Chi sa quale effetto farebbe egli agli occhi di un giudice superiore del gusto? Forse apparirebbe ardito? forse anche esilarante? forse un po’ arbitrario?… «O divino Dionisio, perché mi tiri le orecchie?» domandò un giorno Arianna al suo filosofico amante, in uno di quei celebri dialoghi sull’isola di Nasso. «Io trovo qualche cosa di ridicolo alle tue orecchie, Arianna: perché non sono esse più lunghe ancora?».

Crediti
 Friedrich Nietzsche
 Il crepuscolo degli idoli
  19
  Oziosità inattuali
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