Dopo un po’ che l’affaticatissimo Satyaki combatteva a fianco di Arjuna, fu affrontato da Bhurishrava.
Tra i due non correva buon sangue a causa di una rivalità di famiglia che risaliva a molti anni addietro, quando il nonno di Satyaki, Shini, era andato allo svayamvara in onore di Devaki e l’aveva rapita per darla in sposa al cugino Vasudeva. Somadatta, che desiderava sposare colei che sarebbe poi diventata la madre di Krishna, si era sentito offeso e danneggiato e aveva inseguito Shini per ucciderlo. I due avevano ingaggiato una furiosa battaglia durante la quale Somadatta aveva avuto la peggio. Nella concitazione Shini non aveva tenuto in considerazione il rango dell’avversario e lo aveva umiliato afferrandolo per i capelli e piantandogli il piede sul petto.
Da quel giorno erano trascorsi molti anni, ma Somadatta non aveva mai dimenticato l’insulto subito e si era impegnato in severe ascesi grazie alle quali aveva ottenuto un figlio che in futuro avrebbe vendicato l’offesa dicendo la stessa cosa a un discendente di Shini. Il figlio era Bhurishrava.
Ambedue erano perfettamente a conoscenza di quella vecchia storia e per molti anni non avevano desiderato altro che incontrarsi sul campo di battaglia.
Quando Bhurishrava gli si lanciò contro, Satyaki capì che quel momento era arrivato.
Dopo un combattimento tanto cruento da incutere paura persino ai più coraggiosi, il fortissimo Bhurishrava sfruttò a suo vantaggio il fatto che l’avversario fosse esausto e lo gettò in terra, facendogli perdere i sensi. Poi lo afferrò per i capelli e gli pose con forza il piede sul petto.
Mio padre è vendicato, disse a voce alta, oggi ho messo il piede sul petto di un discendente di Shini. Ma io non mi fermerò qui. Io farò più di quanto fece Shini: oggi stesso, in questo preciso momento, io ti ucciderò.
E sollevò la spada per decapitarlo.
Nel frattempo Krishna, che ben sapeva della vecchia rivalità e di quanto in quel momento Satyaki fosse stanco e Bhurishrava forte, per tutto lo svolgersi del duello non aveva perso di vista i due. Perciò quando il duello stava per giungere a quella drammatica conclusione, Krishna si rivolse ad Arjuna.
Arjuna, guarda lì, il tuo amato discepolo Satyaki sta per essere sopraffatto da Bhurishrava. Sta per essere decapitato. Se non intervieni, perderemo il nostro più valoroso soldato e il più caro degli amici.
Arjuna era perplesso, non sapeva cosa fare: intervenire in quel frangente sarebbe stato un atto chiaramente sleale, contrario ai più elementari valori delle leggi che regolano il comportamento degli kshatriya; e in più il virtuoso Bhurishrava non meritava un tale insulto. Ma quando vide quella mano destra che impugnava una pesante spada sollevarsi contro l’amico oramai privo di sensi, gli venne in mente il figlio Abhimanyu massacrato nelle più sleali delle circostanze; pensò a Duryodhana, a Karna, a Shakuni, a Dusshasana e a Draupadi, a quante sofferenze avevano dovuto sopportare a causa di persone che avevano perso ogni senso della rettitudine. Perché proprio lui doveva porsi tanti scrupoli, ora che uno dei suoi amici più cari era in pericolo di vita? E mentre Krishna gli gridava di fare presto, una freccia scaturì da Gandiva che andò a staccare di netto quel braccio minaccioso.
La spada e l’arto sanguinante caddero sul terreno. Un coro di disapprovazione salì dalle truppe Kurava.
Come è possibile che un atto del genere sia stato perpetrato proprio da lui, il paladino del dharma? Vergogna, Arjuna: dopo aver visto ciò, chi seguirà più le leggi di Dio?
Bhurishrava, mutilato, si girò per vedere chi fosse stato l’artefice di un atto così malvagio.
Arjuna, sei stato tu? disse poi, è mai possibile? Non capisco cosa ti abbia spinto a fare ciò. Io ho lealmente sconfitto Satyaki in duello e ho il diritto di ucciderlo, e tu non puoi intervenire alle spalle di un avversario in procinto di colpire. Hai causato una grave breccia nel dharma. La gente comune segue l’esempio dei grandi uomini. Però se tu ti comporti in questo modo, quanti osserveranno ancora le leggi sacre che finora hanno governato la nostra vita? Non hai paura che l’empietà invada i nostri regni? Credimi, questa ferita non mi dà alcun dolore, ma è l’averti visto agire in modo peccaminoso che mi sta causando le più grandi sofferenze. Non dovevi farlo.
Gli astanti applaudirono quelle parole rette. Ma Arjuna lo guardò con occhi di fuoco.
Tu che sai dire parole così giuste, dov’eri quando Abhimanyu fu ucciso a tradimento? e quando Duryodhana ha cercato di bruciarci vivi a Varanavata, perché non sei intervenuto in nostra difesa e non hai dichiarato guerra ai Kurava in nome dei santi precetti del dharma? E poi ricordo che tu eri presente quando, dopo averci derubato di tutte le nostre proprietà con un vile trucco e facendo leva sulla rettitudine di Yudhisthira, i Kurava hanno oltraggiato nostra moglie; ma non ho sentito neanche una parola uscire dalla tua bocca, quel giorno. Hai dimenticato il momento in cui il vile Dusshasana ha cercato di spogliare Draupadi di fronte a tutti? Non hai parlato in tono indignato, allora, perché non ti conveniva inimicarti il tuo più potente alleato. E giacché non sei intervenuto in quei frangenti e in tanti altri, perché ora chiacchieri tanto? No, tu oggi non hai diritto di dire né di accusarmi di nulla.
A quel durissimo discorso, Bhurishrava chinò la testa e rifletté su ciò che aveva ascoltato. Poi, senza aggiungere altro, decise di abbandonare il proprio corpo. Così raccolse dell’erba kusha e la sistemò con attenzione sul terreno; poi, su quel cuscino sacro, si sedette assumendo la posizione del loto e iniziò a regolare il respiro e i pensieri. Così, attraverso la pratica dello yoga, Bhurishrava si preparava a lasciare questo mondo e i suoi drammi.
Ma un altro atto empio stava per concretizzarsi: Satyaki, stordito, sentendosi libero dalla stretta del nemico, si rialzò di scatto, afferrò da terra una spada e senza riflettere gli si avventò contro per ucciderlo.
A nulla valsero le grida di Arjuna che gli diceva di non farlo: con un colpo di spada tagliò la testa all’anziano eroe. Non fu un atto applaudito da nessuno, il suo.
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