Jacques Camatte, in Il capitale totale, pone il lavoro al centro della sua critica al capitalismo, vedendolo non come un’attività neutrale o liberatoria, ma come il principale veicolo di alienazione dell’essere umano. Per Camatte, l’alienazione non è un effetto collaterale del sistema capitalistico, ma la sua essenza stessa, radicata nella divisione del lavoro e nella separazione del lavoratore dal prodotto del proprio sforzo. Questa condizione trasforma il lavoro da espressione della creatività e dell’autonomia umana in una funzione subordinata alla logica del capitale, svuotandolo di significato e riducendo l’individuo a uno strumento del processo di accumulazione.
L’alienazione del lavoro, secondo Camatte, ha origine nella separazione tra il lavoratore e i mezzi di produzione, un processo storico che strappa all’uomo il controllo sugli strumenti e sulle risorse con cui produce. In un contesto precapitalistico, il lavoro era spesso integrato nella vita sociale: il contadino o l’artigiano vedeva il frutto del proprio lavoro come un’estensione di sé, un oggetto che rispondeva ai bisogni della comunità o della famiglia. Con il capitalismo, questa relazione si spezza. Il lavoratore non possiede più né la terra, né le macchine, né le materie prime: diventa un salariato, costretto a vendere la propria forza lavoro per sopravvivere. Il prodotto del suo lavoro gli sfugge, trasformato in una merce che circola nel mercato secondo dinamiche che non può controllare.
Questa separazione genera una forma di alienazione profonda e multidimensionale. Camatte identifica nella divisione del lavoro uno dei meccanismi principali di questo processo. Nel sistema capitalistico, il lavoro viene frammentato in compiti ripetitivi e specializzati, privando il lavoratore di una visione d’insieme del processo produttivo. L’operaio in una fabbrica, ad esempio, non crea un oggetto completo, ma esegue un’azione isolata – avvitare un bullone, assemblare un pezzo – senza alcun legame con il risultato finale. Questa frammentazione non solo riduce l’abilità e la creatività, ma aliena il lavoratore dal senso del proprio fare, rendendo il lavoro un’attività meccanica e priva di scopo personale.
Un altro aspetto cruciale dell’alienazione, secondo Camatte, è la perdita del prodotto del lavoro. Nel capitalismo, ciò che il lavoratore produce non gli appartiene: diventa proprietà del capitale, un’entità astratta che lo utilizza per generare profitto. Questa espropriazione non è solo materiale, ma simbolica: il lavoratore non si riconosce più in ciò che crea, e il suo sforzo diventa un mezzo per l’arricchimento di altri. Camatte vede in questa dinamica una disumanizzazione radicale: il lavoro, che dovrebbe essere un’espressione della vita, si trasforma in una negazione dell’umanità, un’attività estranea che domina chi la compie.
L’alienazione del lavoro si estende anche al tempo e alla vita quotidiana. Camatte sottolinea come il capitalismo imponga una rigida separazione tra il tempo del lavoro e il tempo della vita, subordinando quest’ultimo al primo. Il lavoratore non lavora per vivere, ma vive per lavorare: il suo tempo, le sue energie, i suoi desideri sono assorbiti da un sistema che lo sfrutta senza tregua. Questa condizione crea una frattura esistenziale: l’individuo è costretto a sacrificare la propria autenticità sull’altare della produttività, vivendo una vita dimezzata, in cui il lavoro diventa una prigione anziché una fonte di realizzazione.
Per Camatte, l’alienazione del lavoro non è un fenomeno isolato, ma il fondamento su cui il capitale costruisce il suo dominio. Separando il lavoratore dai mezzi di produzione e dal prodotto del suo lavoro, il capitale lo rende dipendente, vulnerabile e controllabile. Questa dipendenza non è solo economica, ma psicologica e sociale: il lavoratore interiorizza la propria condizione, accettandola come inevitabile. La divisione del lavoro, inoltre, frammenta la collettività, impedendo la solidarietà e favorendo l’isolamento, che a sua volta rafforza il potere del capitale.
Camatte vede nel lavoro alienato la tragedia del capitalismo: un sistema che trasforma una delle capacità più umane – quella di creare e produrre – in una fonte di sofferenza e subordinazione. Rompere questa alienazione significherebbe, per lui, non solo abolire la separazione tra lavoro e mezzi di produzione, ma ripensare il lavoro stesso, restituendogli una dimensione comunitaria e creativa che il capitale ha distrutto.
*Il capitale totale* è un saggio di Jacques Camatte che critica il capitalismo come forza totalizzante. Colonizzando vita, lavoro e natura, annulla il progetto umano di autenticità e libertà. Propone una rottura radicale per superare il sistema, oltre riforme o ideologie, verso una società non alienata.
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Arthur SchopenhauerLa borghesia ha strappato ai lavoratori i mezzi di produzione, trasformando il loro lavoro in una merce alienata al servizio dell'accumulazione capitalistica
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Ivan Alexandrovič GončarovLo scandalo non è lo sfruttamento, è la nostra stupidità. Le costrizioni che c'imponiamo per avere il superfluo e l'inutile. Il giorno della grande separazione, chi ha avuto ragione non è stato il fesso che è sceso dall'albero per diventare sapiens, è stata la scimmia che ha continuato a raccogliere i frutti grattandosi la pancia. Gli uomini non hanno capito niente dell'Evoluzione.
Jean Michel Guenassia Il club degli incorregibili ottimisti
La fabbrica della strategia di Antonio Negri
Scritto nel 1977, Negri esplora il lavoro operaio e la sua alienazione nel capitalismo industriale. La sua analisi della subordinazione del lavoratore al capitale si intreccia con Camatte, offrendo una prospettiva militante sulla lotta per riaffermare l’autonomia contro la frammentazione e il controllo del sistema produttivo.
La società della stanchezza di Byung-Chul Han
Pubblicato nel 2010, Han critica la modernità capitalistica che trasforma il lavoro in un’autoalienazione incessante. Collegandosi a Camatte, il testo denuncia come l’individuo si perda in una produttività priva di senso, approfondendo la frattura tra vita e lavoro in un’epoca di burnout e isolamento.
Lavoro zero di Ivan Illich
Illich, nel 1981, contesta il lavoro salariato come fonte di alienazione e dipendenza. La sua visione di un ritorno a pratiche autonome e comunitarie risuona con Camatte, proponendo un’alternativa radicale alla subordinazione imposta dal capitalismo e alla perdita di significato del fare umano.
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