L’incontro Charlus-Jupien pone il lettore di fronte al più prodigioso scambio di segni. Innamorarsi vuol dire individualizzare qualcuno attraverso i segni che porta o che emette. Vuol dire diventare sensibile a questi segni, iniziarsi ad essi (come nella lenta individualizzazione di Albertine, entro il gruppo delle fanciulle). L’amicizia può forse nutrirsi di osservazione e conversazione, ma l’amore nasce e si nutre d’interpretazione silenziosa. L’essere amato appare come un segno, un’anima: esprime un mondo possibile a noi sconosciuto. L’amato implica, include, imprigiona un mondo che occorre decifrare, e cioè interpretare. Si tratta anzi di una pluralità di mondi; il pluralismo dell’amore non riguarda soltanto la molteplicità degli esseri amati, ma la molteplicità delle anime o dei mondi racchiusi entro ognuno di essi. Amare è cercare di spiegare, di sviluppare questi mondi sconosciuti che restano avviluppati nell’amato…
(omissis)
C’è dunque una contraddizione dell’amore. Non possiamo interpretare i segni di un essere amato senza sboccare in mondi che non hanno aspettato noi per formarsi, che si formarono con altre persone, e nei quali siamo dapprima solo un oggetto tra gli altri. L’amante desidera che l’amato gli dedichi le sue preferenze, i suoi gesti, le sue carezze. Ma i gesti dell’amato, nel momento stesso che sono rivolti e dedicati a noi, esprimono ancora quel mondo ignoto che ci esclude. L’amato ci dà segni di preferenza; ma poiché quei segni sono i medesimi che esprimono mondi di cui non facciamo parte, ogni preferenza di cui profittiamo traccia l’immagine del mondo possibile dove altri sarebbero o sono preferiti. La contraddizione dell’amore consiste in questo: i mezzi su cui contiamo per preservarci dalla gelosia sono gli stessi mezzi che alimentano questa gelosia, conferendole una specie di autonomia, d’indipendenza rispetto al nostro amore.
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