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C’è la parola viva, la parola che fugge via nel suo divenire, la parola leggera – e c’è la parola che le fa eco, la parola che ritorna, la parola pesante, la parola che rimane quando la «cosa» di cui parla si è estinta.
C’è la parola di Dioniso, e c’è la parola di Orfeo. C’è il divenire, il fluire infinito, il ritmo che mai si arresta della corrente – e c’è lo stare, l’indugiare, chissà forse nell’illusione che la «cosa» ritorni c’è il numero e c’è la scala musicale. C’è la parola del caos, e c’è la parola che fa cosmo. C’è la parola della terra, e c’è la parola del cielo. A volte, si narra, fanno addirittura all’amore.
Polvere eri, e polvere ritornerai – dice Dioniso. – E allora perché ti fermi a idolatrare dei fantasmi? Nessuno merita, Orfeo, il tuo addio. Nessuno è degno di dire al Sole –fermati! Euridice è morta, e livida è la notte. Lasciala perdere, scordatela!
Sei un dio, fratello mio – gli risponde Orfeo. – Tu dalle tue ceneri sempre risorgi. Divina è la tua parola, ma ancor più divina è la parola che ti fa eco. È nell’eco che un frammento della tua parola risorge. Non disprezzarla! Euridice è l’eco che, gettata nella cieca vastità della notte, dice la luce, dice l’alba della tua risurrezione. Hai ragione: c’è la parola che non lascia strascichi né addii. Essa però, la smemorata, passa e quasi impalpabile si astiene dal lasciare traccia del suo passare. È la parola che non «dice» mai nulla. Che non fa in tempo a divenire parola che, ecco, s’è già imbrogliata nella matassa di un chiacchiericcio. Essa nulla sa, nulla vuole e nulla ha della tua «divinità», mio caro Dioniso: è troppo leggera per non disperdersi nell’inconscio dell’indicibile. Se tu, fratello mio, sei un dio, lo devi solo all’eco umana che ti canta. Nell’eco non ritorna il caos, ma solo quel frammento d’onda, solo quel pulviscolo di memoria, solo quel ritmo che è a misura del Risorto. La tua divinità, Dioniso, è solo questo risorgere dalle corde della mia lira che l’annuncia. Morire è caos, ma io Orfeo nel caos del regno dei morti ho udito il tuo ritornello, ho udito il cuore pulsante di un cosmo nel mercoledì delle tue ceneri. Tu sei dio, e io non sono che un qualunque tuo cantore umano e canto il tuo divino «respiro a nulla».

Crediti
 Maurice Blanchot
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