Domando ciò che porta con sé la condizione che riconosco come mia, so che questa implica l’oscurità e l’ignoranza, e mi viene assicurato che tale ignoranza spiega tutto e che codesta notte è la mia luce. Ma non si risponde qui al mio pensiero, e quel lirismo esaltante non può nascondermi il paradosso. Bisogna dunque volgersi altrove.
Kierkegaard può gridare, avvertire: Se l’uomo non avesse una coscienza eterna, se, in fondo ad ogni cosa, non ci fosse altro che una potenza selvaggia in ebollizione, che producesse tutto, il grande e il futile, nel turbine di oscure passioni, se il vuoto senza fondo, che nulla può colmare, si nascondesse sotto le cose, che sarebbe dunque la vita, se non disperazione?
Questo grido non può fermare l’uomo assurdo. Cercare ciò che è vero, non significa cercare ciò che è desiderabile. Se per sfuggire all’angosciata domanda: Che cosa sarebbe dunque la vita? si deve, come l’asino, nutrirsi delle rose dell’illusione, piuttosto che rassegnarsi alla menzogna, lo spirito assurdo preferisce adottare, senza tremare, la risposta di Kierkegaard: la disperazione.
Cercare ciò che è vero
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