Come presidente del consiglio, nell’autunno ’63, quasi piangendo, [Giovanni Leone] assicurò alle famiglie delle duemila e più vittime della catastrofe del Vajont che al più presto giustizia sarebbe stata fatta e i colpevoli assicurati alla giustizia. Solo che pochi mesi dopo, diventato semplice deputato, al tribunale dell’Aquila egli accettò di far parte del collegio di difesa dei dirigenti della Sade, la società responsabile del disastro. Dopo il suicidio di un ingegnere geologo, otto erano i rinviati a giudizio. Risultato: cinque assolti e tre condannati al minimo della pena.
È noto a tutti che il disastro si poteva evitare, che da anni i comuni che poi verranno travolti lamentavano smottamenti e slittamenti temendo il peggio, è noto che senatori e onorevoli democristiani avevano precise responsabilità (quanti avevano approvato il progetto del bacino costruito sotto il controllo diretto dei Lavori pubblici e senza ordinare la più stretta vigilanza sui lavori della Sade, quelli che non avvertirono di eventuali pericoli la popolazione). Cosí la sentenza si commenta da sé: evidentemente l’eloquente, e lautamente retribuita, memoria scritta che mandò allora Leone ebbe il suo peso sui giudici e sul tribunale. Eccola: Gli imputati sono persone ineccepibili sotto ogni aspetto e la loro colpa sta nel non aver avuto nell’ora suprema l’appercezione e la riflessione, il lampo illuminante dell’imminente pericolo. (Come se fossero stati tutti là a sorvegliare e si fossero distratti un momento.) Quindi non sono responsabili di questo tragico errore (errore di chi? di quella loro fatale distrazione?). E poi: Ciò che ha ucciso non è la frana, cioè la prevedibile cedevolezza dell’area scelta e non tenuta sufficientemente sotto controllo, ma soltanto l’inondazione per cui l’evento non può essere addebitato all’agente, cioè alla Sade-Enel. (E chi ha la colpa dell’inondazione, se non chi non ha tenuto sotto controllo quell’area cedevole?) Le stesse argomentazioni che si leggevano il giorno dopo la tragedia sui giornali conservatori, difensori delle società idroelettriche. Calamità naturale era il ritornello d’allora, quando invece la calamità era prevista da anni, denunciata dai sindaci e dai giornalisti locali, temuta anche da qualcuno, tra i meno cinici, dei funzionari dei Lavori pubblici.
Chi ha la colpa dell’inondazione?
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