Die Mutter des Kunstlers
Amore! Dolce amore! Sosterrò sempre che fu una delle massime scoperte del Pleistocene medio, periodo quanto mai ricco e fertile di invenzioni e sviluppi culturali. All’epoca, ne fui colto assolutamente di sorpresa. D’un tratto fui una creatura nuova, come il serpente che ha appena cambiato pelle: libero, aperto, ebbro di delizia. Ero una libellula che dispiegava le ali dopo la lunga notte trascorsa nella crisalide!
Suonano ormai logore e banali, queste metafore: la generazione moderna ha perduto quel primo dolce, spensierato rapimento. I giovani d’oggi sanno bene che cosa aspettarsi; troppo gli è stato detto; essi pregustano, con ambizione eccessiva. Ma, per me, fu una metamorfosi, proprio perché non avevo la minima idea di che cosa stesse per accadermi. Sì, è un privilegio incomparabile essere proprio il primo a provare una nuova esperienza umana, qualunque sia; e se poi è l’amore!…
Pensate! L’amore, che oggi si compiace se i giovani sembrano ancora apprezzarlo quando lo incontrano nella giungla, sulla sponda di un lago o in cima a una montagna… Oggi è cosa di normale amministrazione, che ha opportunamente preso il suo posto nel processo evolutivo; ma, ah!, quando era appena nato!…
Non avevo né la capacità né il desiderio di analizzare ciò che mi accadeva; a ripensarci, mi accorgo che l’amore spuntò, come un frutto non premeditato, da quella prima inibizione che papà ci aveva imposto a fini puramente sociologici. Le nostre più facili inclinazioni erano state tarpate; ne era scaturito, senza che alcuno l’avesse cercato, questo appassionante, sconvolgente, straordinario banchetto di sensazioni. Non che fossimo inibiti, Griselda e io, quando ci mostravamo al mondo insieme; al contrario, non solo ci sentivamo liberi da vincoli nei nuovi reami scoperti dentro di noi, ma trattavamo la natura intera come una propaggine o dipendenza della nostra camera nuziale.
Ci sentivamo invulnerabili: come se l’unione di due fragili e delicate metà avesse formato una creatura destinata a dominare, invincibile, la terra.
Ridevamo irriverenti davanti al covo del leone; tiravamo la coda al gattopardo addormentato; ci rincorrevamo negli stagni, saltando, come da un masso all’altro, sulla groppa di coccodrilli disorientati e ippopotami perplessi; risalivamo le cascate gareggiando con persici e pesci tigre; ci gettavamo giù per le rapide con le anguille.
Giocavamo a prenderci con gli aironi, tra le zampe degli elefanti infastiditi, che barrivano protestando ma tentavano invano di calpestarci; ornavamo con festoni di asparagus e di convolvolo i corni di rinoceronti corrucciati; spaventavamo i cervi al pascolo lanciandogli fra le corna serti fioriti di gelsomino e di vite che poi, nel vento della fuga, si alzavano come aquiloni.
Di sorpresa prendevamo per la mano le scimmie, trascinandole in un vorticoso girotondo. Da struzzi, fenicotteri, pavoni, insomma da tutti gli uccelli che mi capitavano a tiro rubavo piume multicolori per adornarne la chioma di Griselda; a me, un mezzo guscio di uovo di aepyornis serviva da casco contro il sole. Le nostre allegre risate risuonavano nel folto e tra gli alberi intrecciati di liane, increspavano la superficie dei grandi laghi che le trasmettevano alle montagne, e da qui riecheggiavano sulle pianure.
Fu la gioia più piena, anche se una o due volte quasi passammo il limite.

Crediti
 Roy Lewis
 Il più grande uomo scimmia del Pleistocene
  traduzione di Carlo Brera
 SchieleArt •  Die Mutter des Kunstlers • 




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La linea della vita, che procede storta, deviata, deludente rispetto alle proprie premesse, solo in questo decorso, in quanto è sempre meno di quello che dovrebbe essere, è in grado di rappresentare, nelle condizioni date dell'esistenza, un'esistenza non regolamentata. La vita che adempisse direttamente alla propria destinazione, in realtà la mancherebbe.Theodor W. Adorno
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