Io e i miei colleghi negli anni ’60 e ’70 cantavamo per quelli di 18 anni e per quelli di 60. La cosa adesso è finita, perché l’industria e le multinazionali si sono accorte che i ragazzi sono disorientati e li fottono.
Nelle scuole non si insegna musica e non se ne parla neanche, di poesia ne parlano pochissimo. Per cui questi ragazzi, con le dovute eccezioni, in queste cose sono assolutamente ignoranti. Per noi non c’erano le televisioni, i giornali specializzati e le radio private e quindi da ragazzi sentivamo di scegliere qualcosa. I giovani di adesso invece non scelgono più niente, prendono tutto quello che si dà loro, non c’è niente da fare.
[…] Lo dico senza livore, senza invidia. Io per i bambini non ho scritto canzoni, le ho solo cantate. Dico sempre che per scrivere canzoni per bambini bisogna essere prima poeti o grandi scrittori, oppure dei furbastri. Io credo di non essere né un poeta né un furbastro. Però canzoni come Ci vuole un fiore che dà il titolo allo spettacolo che è in scena al teatro Raffaello di Roma adesso [2002, n.d.r.], ha ben 27 anni e i bambini si divertono a cantarla e la conoscono anche perché le nonne, le mamme e anche le maestre dell’asilo le insegnano.
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