Circa la nostra condotta verso gli altri
30.° Nessun carattere è tale che si possa abbandonarlo a sé stesso e lasciarlo andare liberamente; esso ha bisogno di esser guidato con nozioni e massime. Che se, spingendo la cosa all’estremo, si volesse fare del carattere non il risultato della natura innata, ma unicamente il prodotto d’una deliberazione ragionata, per conseguenza un carattere del tutto acquisito ed artificiale, si vedrebbe tosto verificarsi la sentenza latina:

Naturam expelles furca, tamen usque recurret. Caccia a forza la natura, nullameno essa ritornerà sempre di volo.

Infatti si potrà molto bene vedere od anche scoprire e formulare perfettamente una regola di condotta verso gli altri, e nondimeno nella vita reale si peccherà fin dal bel principio contro di essa. Tuttavia non si deve per ciò perdere coraggio e credere che sia impossibile il dirigere la propria condotta nella vita sociale secondo regole e massime astratte, e che quindi valga meglio lasciarsi andare alla buona. Perocché di queste succede come di tutte le istruzioni e direzioni pratiche; comprendere la regola è una cosa, e saperla applicare un’altra. La prima si acquista ad un tratto per mezzo dell’intelligenza, la seconda a poco a poco per mezzo dell’esercizio. All’allievo si son fatti vedere i tasti dello strumento, le parate e i colpi di fioretto; ma in pratica egli s’inganna immediatamente malgrado la più buona volontà e s’immagina allora che ricordarsi queste lezioni nella rapidità della lettura musicale o nell’ardore d’un assalto sia cosa quasi impossibile. E tuttavia un po’ per volta, a forza d’inciampare, di cadere e di rialzarsi, l’esercizio finisce coll’insegnargliele; lo stesso succede per le regole della grammatica quando si apprende a leggere ed a scrivere in latino.
Non è altrimenti che un mascalzone diviene cortigiano; una testa calda, un personaggio eminente; l’uomo aperto, abbottonato; il nobile, sarcastico. Tuttavia questa educazione di sé, ottenuta siffattamente con lunga abitudine, agirà sempre come uno sforzo venuto dal di fuori, cui la natura non cesserà mai dall’opporsi, e ad onta del quale finirà qualche volta coll’irrompere da un varco inaspettato. Perocché qualunque condotta che abbia per motore massime astratte si riferisce ad una condotta decisa dalla inclinazione primitiva ed innata, come un meccanismo alla mano dell’uomo: per esempio un orologio, ove la forma e il movimento sono imposti ad una materia che è estranea ad essi, si riferisce ad un organismo vivente in cui forma e materia si compenetrano scambievolmente e non formano che una cosa sola. Tale rapporto tra il carattere acquisito e il carattere naturale conferma il pensiero espresso dall’imperatore Napoleone: «Tutto ciò che non è naturale è imperfetto.» Questo è vero in tutto e per tutti, sia nel fisico che nel morale; e la sola eccezione che io ricordi alla regola si è la venturina naturale che non vale l’artificiale.

Guardiamoci quindi da qualunque affettazione. Essa provoca sempre il disprezzo: prima di tutto è un inganno e come tale una vigliaccheria, perché si fonda sulla paura; e in secondo luogo implica condanna di sé stesso per mezzo di sé stesso, imperocché si vuol parere ciò che non si è, e si crede questo esser migliore di ciò che si è. Il fatto d’affettare una qualità, di vantarsene, è confessare di non possederla. Quanta gente si gloria, di coraggio o di dottrina, d’intelligenza o di spirito, di successi colle donne o di ricchezze o di nobiltà o d’altro, e si potrà invece concludere che è precisamente su tale capitolo che manca loro qualche cosa! Perocché colui che possiede realmente e completamente una qualità non si pensa di farne mostra e di affettarla; egli è perfettamente tranquillo su tale rapporto. È questo che vuol dire il proverbio spagnolo: «Herradura que chacolotea clavo le falta» A ferratura crocchiante manca un chiodo. Non si deve certo, l’abbiamo già detto, abbandonare affatto le redini e mostrarsi interamente quali si è; perché la parte cattiva e bestiale della nostra natura è considerevole ed ha bisogno d’esser velata; ma ciò non legittima che l’atto negativo, la dissimulazione, e niente affettissimo il positivo, la simulazione. Bisogna pure sapere che si scopre l’affettazione in un individuo prima ancora di capir chiaro ciò ch’egli voglia precisamente affettare. Infine la cosa non può durare a lungo, e la maschera un giorno finirà col cadere: «Nessuno può portare per lungo tempo la maschera; le cose finte ben presto ritornano alla propria natura» Seneca, De clementia, L. I, c. 1.

31.° Nella stessa guisa che si porta il peso del proprio corpo senza avvertirlo mentre si sentirebbe il peso di qualunque oggetto estraneo che si volesse muovere, così non si scorgono che i difetti e i vizî degli altri e non i proprî. In cambio però ciascuno possiede in altrui uno specchio nel quale può vedere distintamente i suoi proprî vizî, i suoi difetti, e le sue maniere grossolane e antipatiche. Ma d’ordinario si fa come il cane che abbaia contro lo specchio perché non sa esser sé stesso ch’ei vede e s’immagina invece d’aver davanti un altro cane. Chi critica gli altri lavora alla correzione di sé medesimo. Coloro dunque che hanno una tendenza abituale a sottoporre tacitamente nel loro fòro interno ad una critica attenta e severa le maniere degli uomini, ed in generale tutto ciò che questi fanno o non fanno, costoro intendono a correggere ed a perfezionare sé stessi: perocché avranno abbastanza equità od almeno abbastanza orgoglio e vanità per evitare ciò che hanno tante volte e così rigorosamente biasimato in altrui. L’opposto succede per i tolleranti, cioè: «Hanc veniam damus petimusque vicissim.» Concediamo il perdono e lo chiediamo a nostra volta. Il vangelo moralizza mirabilmente bene su coloro che scorgono la pagliuzza nell’occhio del vicino, e che non vedono la trave nel proprio; ma la natura dell’occhio non gli permette di guardare che al di fuori ed esso non può quindi veder sè medesimo; per questo, notare e biasimare i difetti degli altri è un mezzo opportunissimo per farci sentire i nostri. Ci occorre uno specchio per correggerci. Questa regola è buona ugualmente quando si tratta dello stile e del modo di scrivere; chi in tali materie ammira qualunque nuova pazzia, anziché biasimarla, finirà col farsene imitatore. Perciò in Germania siffatto genere di follia si diffonde tanto presto. I Tedeschi sono tolleranti: lo si scorge benissimo. Hanc veniam damus petimusque vicissim, ecco la loro impresa.

32.° L’uomo di specie nobile, in gioventù, crede che le relazioni essenziali e decisive, che creano veri legami tra gli uomini, siano quelle di natura ideale, vale a dire quelle fondate sulla conformità del carattere, della piega dello spirito, del gusto, dell’intelligenza, ecc.; ma si avvede più tardi che sono invece le reali, cioè quelle che sono stabilite su qualche interesse materiale. Sono esse che formano la base di tutti i rapporti, e la maggioranza degli uomini ignora che ve ne siano d’altra specie. Per conseguenza ciascuno è scelto in ragione del suo ufficio, della sua professione, del suo paese o della sua famiglia, in generale dunque secondo la posizione e la parte attribuitagli dalla convenzione; si è con tale concetto che viene scompartita e classificata, come articoli di fabbrica, la gente. Invece ciò che un individuo è in sè e per sè, come uomo, in virtù delle qualità sue, non è preso in considerazione se non a piacimento, per eccezione; ciascuno mette queste cose da un lato non appena gli convien meglio, e le dimentica. Quanto più un uomo avrà un valore personale, tanto meno potrà convenirgli una tale classificazione; cercherà quindi di sottrarvisi. Osserviamo tuttavia che tale maniera di trattare è fondata sul fatto che nel mondo, in cui regnano la miseria e l’indigenza, i mezzi che servono a tenerle lontane sono la cosa essenziale e necessariamente predominante.


Crediti
 Arthur Schopenhauer
 Aforismi sulla saggezza nella vita
  Traduzione Oscar D. Chilesotti
  Circa la nostra condotta verso gli altri
 Pinterest •  Duane Kaiser  • 




Quotes per Arthur Schopenhauer

Nella conversazione ci si astenga da osservazioni intese a correggere: poiché offendere la gente è facile, migliorarla difficile, se non impossibile.

La vita intellettuale protegge dall'ozio e anche dalle sue conseguenze. È uno scudo contro le cattive compagnie e contro i pericoli, le perdite e le sconfitte che si incorrono quando si cerca la felicità nelle cose esterne.  L'arte di vivire

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Il caso è una potenza malvagia alla quale bisogna affidarsi il meno possibile. Eppure chi è fra tutti i donatori l'unico che, mentre dà, ci dimostra anche chiaramente che non abbiamo alcun diritto ai suoi doni, e che per essi dobbiamo ringraziare non i nostri meriti, ma unicamente la sua bontà e la sua grazia, e che proprio da queste possiamo attingere la lieta speranza di poter ricevere anche in futuro, con umiltà, qualche altro immeritato dono?  Consigli sulla felicità

Occorre evitare ogni eccesso e ogni dissolutezza, anche le emozioni violente e penose, come pure ogni intenso e prolungato sforzo intellettuale; occorre fare ogni giorno almeno due ore di moto veloce all'aria aperta, prendere molti bagni freddi e consimili misure dietetiche. Senza un adeguato moto quotidiano è impossibile conservarsi sani: tutti i processi vitali esigono, per compiersi convenientemente, il moto, sia delle parti in cui si svolgono, sia dell'intero organismo.  Consigli sulla felicità