12.° In faccia d’un avvenimento funesto, già compito, che per conseguenza non si può più modificare, bisogna non abbandonarsi nemmeno all’idea che forse avrebbe potuto succedere altrimenti, e meno ancora riflettere a quanto avrebbe avuto la possibilità di stornarlo; perocché si è questo precisamente che porta la gradazione del dolore fino al punto in cui diviene insopportabile, e fa dell’uomo un «ἑαυτοντιμο ρουμενος».
Facciamo piuttosto come il re Davide, che assediava incessantemente Jehová con preghiere e suppliche durante la malattia di suo figlio, e che, non appena questi fu morto, fece scoppiettare le dita e non vi pensò più oltre. Colui che non ha un carattere abbastanza leggero per condursi nello stesso modo, deve rifugiarsi sul terreno del fatalismo, e convincersi pienamente di quest’alta verità che tutto quello che succede, succede necessariamente, dunque è inevitabile.
Tuttavia questa regola non ha valore che in un solo senso. Essa giova a consolarci ed a calmarci immediatamente in caso di sventura; ma quando, come avviene più di sovente, devesi attribuire la colpa, almeno in parte, alla nostra negligenza od alla nostra temerità, allora la meditazione ripetuta e dolorosa dei mezzi che avrebbero potuto prevenire il funesto avvenimento è una mortificazione salutare, propria a servirci di lezione e di ammendamento per l’avvenire. Soprattutto non bisogna cercar di scusare, colorire o impiccolire ai propri occhi i falli di cui si è colpevoli evidentemente; è necessario confessarseli e presentarseli in tutta la loro estensione, allo scopo di poter prendere la ferma decisione di evitarli in seguito. È vero però che così si viene a procurarsi il dolorosissimo sentimento della scontentezza di sé, ma «l’uomo impunito non s’instruisce.»
13.° In tutto ciò che concerne la nostra felicità o la nostra miseria bisogna imbrigliare la fantasia: quindi, anzitutto non fabbricare castelli in aria: essi ci costano troppo cari, perocché ci è forza, subito dopo, demolirli con molti sospiri. Ma dobbiamo guardarci ben di più dal darci angoscia rappresentandoci vivacemente mali che sono solamente possibili.
Che se essi poi fossero completamente immaginarî od anche possibili solo in una eventualità molto lontana, sapremmo immediatamente al nostro svegliarci da tal sogno, che tutto questo non era che illusione; in conseguenza ci sentiremmo assai più contenti della realtà che si trova esser migliore, e ne trarremmo forse avvertimento per accidenti lontani, quantunque possibili. Ma la nostra fantasia non gioca facilmente con simili immagini; essa non fabbrica mai per puro divertimento se non prospettive ridenti. La stoffa de’ suoi sogni foschi è fornita dai mali che, quantunque lontani, ci minacciano effettivamente in una certa misura; ecco gli oggetti che essa ingrandisce, ecco gli oggetti di cui avvicina la possibilità alla verità e che dipinge coi colori più terribili. Allo svegliarci, non possiamo scuotere un tal sogno come facciamo delle visioni ridenti, perché queste sono smentite senza indugio dalla realtà, e non lasciano dietro di sè che una debole speme di realizzazione. In cambio, quando ci abbandoniamo ad idee nere blue devils, avviciniamo immagini che non si staccano da noi tanto facilmente, perocché la possibilità dell’avvenimento, in generale, è vera, e noi non siamo sempre in istato di misurarne con esattezza il grado; essa allora si trasforma ben presto in probabilità ed eccoci così in preda all’inquietudine. Si è per questo che dobbiamo considerare ciò che interessa il nostro bene o la nostra infelicità coi soli occhi della ragione e del raziocinio; bisogna riflettere prima seccamente e freddamente, e poi non operare che su nozioni ed in abstracto. L’immaginazione non deve entrar in giuoco, perché non sa giudicare; essa non può che presentare agli occhi immagini che commuovono l’anima senza vero motivo, e spesso molto dolorosamente. Si è alla sera che questa regola dovrebbe essere più strettamente osservata. Perocché se l’oscurità ci rende paurosi e ci fa veder da per tutto figure spaventevoli, l’indecisione delle idee, che le è analoga, produce lo stesso risultato; infatti l’incertezza genera la mancanza di sicurezza: perciò gli oggetti della nostra meditazione, quando riguardano i nostri interessi, prendono facilmente di sera un’apparenza minacciosa e diventano spauracchi; a quell’ora la fatica ha rivestito lo spirito ed il raziocinio d’oscurità soggettiva, l’intelletto è accasciato e «θορυβουµενος» turbato, e non è capace d’un esame profondo. Questo succede più di sovente la notte, a letto; lo spirito essendo interamente allentato, il raziocinio non ha più la sua piena potenza d’azione, mentre la fantasia è ancora attiva. La notte allora copre ogni essere ed ogni cosa della sua tinta fosca. Quindi i nostri pensieri, nel momento d’addormentarci o se ci svegliamo durante la notte, ci fanno apparire gli oggetti sfigurati ed inverosimili come in sogno; li vedremo così tanto più neri e terribili quanto più riguardano davvicino circostanze personali. Al mattino tali spauracchi svaniscono, proprio come i sogni: è quanto significa il proverbio spagnolo: Noche tinta, blanco ed dia La notte è colorata, bianco il giorno. Ma di sera, non appena è acceso il lume, la ragione, del pari dell’occhio, vede meno chiaramente che nel giorno; perciò quell’ora non è favorevole a meditazioni su soggetti seri, e specialmente su soggetti spiacevoli. Si è il mattino favorevole a ciò, come in generale, senza eccezione, ad ogni lavoro: lavoro dell’intelletto o lavoro manuale. Perché il mattino è la giovinezza del giorno: tutto è gaio, fresco e facile al mattino e noi ci sentiamo vigorosi in quell’ora, e possiamo disporre di tutte le nostre facoltà. Non bisogna abbreviarlo levandosi tardi, nè sprecarlo in occupazioni od in discorsi volgari; ma invece è necessario considerarlo come la quintessenza della vita e, per così dire, come qualche cosa di sacro. In cambio la sera è la vecchiezza del giorno: noi siamo abbattuti, ciarlieri e storditi. Ciascun giorno è una piccola vita, lo svegliarsi e l’alzarsi una piccola nascita, ogni fresco mattino una piccola giovinezza, e il coricarsi colla sua notte di sonno una piccola morte.
Ma, generalmente parlando, lo stata di salute, il sonno, il cibo, la temperatura, il tempo, l’ambiente, e mille altre condizioni esterne influiscono considerevolmente sulla nostra disposizione, e questa, a sua volta, sui nostri pensieri. Ne viene che il nostro modo di considerar le cose, come pure l’attitudine a produrre qualche opera, sono fino ad un certo punto subordinate al tempo ed anche al luogo. Goethe ha detto: «Afferrate la buona disposizione perocché essa viene di rado». Non è solo per le concezioni oggettive e per i pensieri originali che ci è necessario attendere se e quando piaccia loro di venir a noi, ma anche la meditazione profonda d’una faccenda personale non riesce mai nell’ora fissata precedentemente e nel momento in cui vogliamo dedicarvici; essa pure sceglie da sé il suo tempo, e lo fa quando una conveniente figliazione delle idee si sviluppa spontanea, e quando possiamo seguirla con intera efficacia.
Per meglio tener in freno la fantasia, come noi lo raccomandiamo, occorre non permetterle di ricordare e di colorire vivamente i torti, i danni, le perdite, le offese, le umiliazioni, le vessazioni, ecc., subite per il passato, perocché con questo agitiamo nuovamente l’indegnazione, la collera, e tante altre odiose passioni assopite da lungo tempo, passioni che tornano ad imbrattare l’anima nostra. Secondo un bel confronto del neoplatonico Proclo, come in ogni città a lato dei nobili e della gente civile s’incontra la plebaglia d’ogni specie οχλος, così in qualunque uomo, fosse pure il più nobile ed il più eminente, si trova l’elemento basso e volgare della natura umana, anzi qualche volta si potrebbe dire della natura bestiale. Questa plebaglia non deve esser eccitata al tumulto; né bisogna permetterle di mostrarsi alla finestra, perché la vista ne è molto brutta. Ora quelle produzioni della fantasia, di cui parlammo adesso, sono i demagoghi del popolaccio.
Aggiungiamo che la più piccola contrarietà, provenga pure dagli uomini o dalle cose, se ci occuperemo costantemente a ruminarla ed a dipingerla sotto colori vistosi ed a grossa scala, può ingrandirsi fino a diventare un mostro che ci faccia perdere il senno. È necessario invece accogliere molto prosaicamente e molto freddamente tutto ciò che è dispiacevole allo scopo di affliggersene il meno possibile.
Nella stessa guisa che gli oggetti piccoli tenuti troppo da presso all’occhio diminuiscono il campo della visione e nascondono il mondo, così gli uomini e le cose che ci contornano più da vicino, quand’anche fossero dappoco ed indifferenti al più alto grado, occuperanno spesso la nostra attenzione ed i nostri pensieri al di là d’ogni convenienza, e svieranno idee ed affari d’alta importanza. Conviene reagire contro una tale tendenza.
Aforismi sulla saggezza nella vita
Traduzione Oscar D. Chilesotti
Circa la nostra condotta verso noi stessi
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