Chi come me, si è sforzato a lungo di pensare il pessimismo in tutta la sua profondità, con una specie di enigmatica avidità, e di liberarlo dell’angustia e dall’ingenuità, metà cristiana e metà tedesca con la quale esso di recente si è manifestato in questo secolo, cioè nella forma della filosofia schopenhaueriana; chi realmente, con occhio asiatico e più che asiatico, ha guardato una volta dentro e sotto questa attitudine del pensiero, quella più di ogni altra negatrice del mondo, – al di là del bene e del male e non più come Budda e Schopenhauer nell’illusione e nell’incanto della morale, – costui con ciò, senza proprio volerlo, ha forse aperto gli occhi sull’ideale opposto: l’ideale dell’uomo più arrogante, più vitale, più affermatore del mondo, che non solo ha imparato ad adattarsi e a sopportare ciò che fu ed è, ma vuole riaverlo così come esso fu ed è, per tutta l’eternità, gridando instancabilmente da capo, non rivolgendosi soltanto a sé, ma all’intero dramma e spettacolo, e non solo a uno spettacolo, ma in fondo a quello, al quale questo spettacolo è necessario – e che lo rende necessario: poiché ha sempre nuovamente bisogno di sé – e si rende necessario – Come? E questo non sarebbe – circulus vitiosus deus?
Al di là del bene e del male
L'essere religioso
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