Nel mondo tutto si svolge con un impeto incessante e in una lotta senza tregua: quale operosità, quale mobilitazione di energie fisiche e mentali! Guerre tra popoli, lotte e travagli ovunque! Milioni di uomini, riuniti in popoli da vincoli artificiosi, aspirano al bene comune del proprio o di un altro popolo, per il quale si immolano a migliaia; la politica li incita, e i singoli ubbidiscono sacrificando sudore e sangue. In tempo di pace prosperano l’industria e il commercio, abbondano le invenzioni e si solcano i mari, che inghiottono migliaia di vittime: tutto è in frenetica attività, gli uni pensano, gli altri agiscono. Ma qual è lo scopo ultimo di tutto questo? La conservazione di individui effimeri per un breve lasso di tempo, possibilmente in una sopportabile assenza di dolori, e la riproduzione della specie e della sua attività. E quanto è difficile raggiungere persino questo scopo!
Ogni individuo, considerato per sé, è la concrezione vivente di migliaia di bisogni, i quali sono in genere talmente impellenti che egli non può vivere nemmeno un giorno senza soddisfarli; a tale soddisfazione sono dirette tutte le energie del suo organismo così incredibilmente complicato e della sua mente agile e indefessa; quanto più è evoluto questo organismo, dal polipo all’uomo, tanto maggiori sono i suoi bisogni, tanto più difficile è la loro soddisfazione e tanto più indicibili la fatica e il dolore – ma non così il premio, che consiste nell’esistenza medesima, la quale è priva di ogni scopo ultimo e non conosce il motivo del suo esserci, come testimonia la noia. Bisogna essere ciechi per non vedere che la vita e l’esistenza, nella loro totalità, sono di per sé una strada sbagliata da cui dobbiamo tornare indietro, come insegnano le antiche religioni dell’Asia. La sapienza consiste nel rendersi conto che i ricavi non coprono i costi, e nell’abbandonare l’attività. Questa attività non si identifica pero con l’individuo, bensì con la volontà di vita.
D’altra parte, come abbiamo detto, è proprio la volontà di vita che afferma sé stessa nella sua apparenza, e che, contrapponendosi ai piaceri della vita, ne sopporta i pesi, sostenendo le spese del grande spettacolo.
Tuttavia, poiché è evidente che tra il lavoro e i ricavi la sproporzione è enorme – ed è questo il vero motivo per cui ogni vita permane nel dolore -, dobbiamo ammettere che la volontà di vita è folle.
Ma come potrebbe essere altrimenti, se la suprema sapienza consiste nell’abbandono e nella negazione di tale volontà?