Egon SchieleUn’analisi approfondita del rapporto tra conflitto e soggettività rivela che il primo non è semplicemente una dimensione relazionale o sociale, ma agisce come un motore fondamentale per lo sviluppo psichico di ogni individuo. La costruzione di un’identità solida e articolata non avviene nel vuoto isolato dell’introspezione, ma passa inevitabilmente attraverso il confronto con l’altro. Più specificamente, è nel crogiolo del conflitto con l’altro che emergono, si definiscono e si consolidano i contorni del sé. Il conflitto, dunque, cessa di essere un mero evento esterno da gestire o risolvere; si rivela per quello che è: una condizione interna, un processo immanente che plasma in profondità il modo in cui ciascun individuo si percepisce, si posiziona e si riconosce nel mondo.

Il conflitto agisce come uno specchio, ma non uno specchio fedele; è uno specchio deformante che ci obbliga a guardarci da una prospettiva inedita e spesso scomoda. Quando ci troviamo in disaccordo con un’altra persona, quando la nostra visione del mondo entra in collisione con una opposta, siamo forzati a un lavoro psichico intenso. Dobbiamo chiarire a noi stessi la natura e i limiti del nostro pensiero, dobbiamo interrogarci sui desideri reali che animano le nostre azioni e dobbiamo gerarchizzare ciò che per noi è veramente importante. Questo processo non è mai indolore o neutrale. Implica fatica, espone alla frustrazione, talvolta genera dolore, ma è proprio in questa fatica che risiede il suo potenziale di crescita. Senza l’attrito del conflitto, l’individuo rischia di rimanere imprigionato in un automovimento emotivo e cognitivo, un circuito narcisistico sterile in cui le proprie certezze vengono continuamente riconfermate senza mai essere messe alla prova. Si rimane incapaci di mettersi realmente in gioco e, quindi, di trasformarsi.

Un aspetto cruciale di questa dinamica è che il conflitto non si limita a toccare la sfera delle idee o delle opinioni verbalizzate. Esso scuote e investe la struttura psichica dell’individuo nella sua interezza. Si manifesta primariamente nel corpo, nelle emozioni, nelle reazioni istintive che precedono e accompagnano la parola. La tensione generata dal confronto può esprimersi come rabbia, ansia, senso di colpa, ma anche come un’inattesa eccitazione creativa, un’energia vitale che spinge all’azione. È attraverso queste tracce somatiche e affettive che il conflitto diventa un’esperienza eminentemente formativa, un evento capace di modificare non solo ciò che diciamo di essere, ma ciò che sentiamo di essere e il modo stesso in cui ci percepiamo.

Da qui deriva una critica severa alla tendenza contemporanea a fuggire dal conflitto, interpretandola non solo come una strategia sociale, ma come una vera e propria forma di repressione della soggettività. Nel momento in cui si privilegiano la mediazione immediata, l’empatia obbligata o la ricerca di un consenso superficiale a tutti i costi, si impedisce all’individuo di vivere appieno la ricchezza, la profondità e la fatica del confronto. Di conseguenza, gli si nega la possibilità di maturare un’autentica autonomia di pensiero e di sentimento. In questo contesto culturale, si assiste a una diffusione endemica della debolezza identitaria: molti individui oscillano perpetuamente tra posizioni puramente adattative e l’adesione acritica a modelli comportamentali esterni, senza mai riuscire a costruire un nucleo interiore stabile, autentico e resiliente.

La conclusione è un radicale capovolgimento di prospettiva: il conflitto non va demonizzato come un nemico della serenità psichica, ma va accolto e valorizzato come un alleato indispensabile per la costruzione di una soggettività complessa, articolata e resistente. Solo accettando la possibilità e la necessità del conflitto, sia interiore che esteriore, si potrà favorire un percorso di crescita autentica. Un percorso capace di produrre individui in grado non solo di pensare con la propria testa, ma anche di sentire con il proprio corpo e di agire nel mondo con chiarezza, coraggio e responsabilità.




Crediti
 Autori Vari
  Analisi del libro *Elogio del conflitto* di Miguel Benasayag
  La soppressione del conflitto, scambiata per pace, indebolisce la società. Si sostiene che la tensione sia un motore essenziale per la democrazia e la crescita individuale. Un invito a praticare il dissenso in modo costruttivo, distinguendolo dalla violenza, per costruire comunità resilienti.
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