Questa domanda riguardante la natura dell’inconscio porta con sé le straordinarie difficoltà intellettuali che la psicologia dell’inconscio ci propone. Tali difficoltà devono inevitabilmente sorgere ogni qualvolta la mente si getta arditamente nell’ignoto e nell’invisibile. Il nostro filosofo prende una posizione assai abile al riguardo poiché, rifiutando decisamente l’inconscio, spazza con un colpo solo ogni complicazione dal suo cammino. Una perplessità simile si presentava anche al fisico della vecchia scuola che credeva solamente alla teoria ondulatoria della luce e era poi portato a scoprire fenomeni che possono essere spiegati esclusivamente con la teoria corpuscolare. Per fortuna la fisica ha mostrato allo psicologo che essa pure può tener testa a una apparente contradictio in adiecto. Incoraggiato da questo esempio, lo psicologo può osare di affrontare il suo controverso problema senza avere il sentimento di essere caduto al di fuori del mondo della scienza naturale.
Prima che analizziamo il nostro dilemma più da vicino, mi piacerebbe chiarire un aspetto del concetto di inconscio. L’inconscio non è semplicemente l’ignoto, ma è piuttosto l’ignoto psichico; e definiamo questo, da un lato, come tutto ciò in noi che se giungesse alla coscienza presumibilmente non differirebbe in nessun modo dai contenuti psichici noti, con l’aggiunta, dall’altro lato, del sistema psicoide. così definito, l’inconscio rivela una situazione estremamente fluida: tutto quello che so, ma a cui in questo momento non sto pensando; tutto quello di cui un tempo ero conscio ma che ora ho dimenticato; tutto quello che è percepito dai miei sensi ma non viene notato dalla mia mente conscia; tutto quello che involontariamente e senza farci, attenzione sento, penso, ricordo, desidero e faccio; tutte le cose future che stanno prendendo forma in me e una volta o l’altra emergeranno nella coscienza: tutto questo è il contenuto dell’inconscio. Questi contenuti sono tutti più o meno capaci, per così dire, di coscienza, o erano consci una volta e possono divenire di nuovo consci in un prossimo momento. Fino a questo punto l’inconscio è una sfrangiatura della coscienza come dice William James. A questo fenomeno marginale originato da stati alterni di luce e di ombra, appartengono anche le scoperte freudiane delle quali abbiamo già parlato.
Giungiamo ora alla ‘domanda: in quale stato si trovano i contenuti psichici stessi quando non sono riferiti all’ego cosciente? (Questa relazione determina ciò che può essere chiamato coscienza). In accordo con il rasoio di Occam‘ entia praeter necessitatem non sunt multiplicanda, l conclusione pi’uta sarebbe che nulla, tranne il rapporto con l’ego conscio, muta quando un contenuto diventa inconscio. Per questa ragione respingo il parere che contenuti momentaneamente inconsci siano soltanto fisiologici. Manca ogni evidenza e, oltre a ciò, la psicologia della neurosi offre convincenti prove del contrario. Basta soltanto pensare ai casi di doppia personalità, di automatisme ambulatoire ecc. Sia Janet che Freud nelle loro scoperte mostrano che ogni cosa continua a funzionare nello stato inconscio esattamente come se fosse conscio. C’è la percezione, il pensiero, la sensibilità, la volizione e l’intenzione, esattamente come se un soggetto fosse presente; in realtà ci sono non pochi casi – p. e. la doppia personalità, che prima abbiamo citato – in cui appare praticamente un secondo ego che lotta con il primo. Tali scoperte sembrano dimostrare che in effetti l’inconscio sarebbe un subsconcio. Ma da certe esperienze – delle quali alcune note anche a Freud – è chiaro che lo stato dei contenuti inconsci non è affatto quello dei contenuti consci. Per esempio, complessi di tono sentimentale non mutano nell’inconscio allo stesso modo che nella coscienza. Sebbene possano arricchirsi con associazioni, essi non ne vengono modificati ma conservano la loro forma originaria come si può rilevare dall’effetto continuo e uniforme che producono sulla mente cosciente. Parimenti essi assumono il carattere irriducibile e costrittivo di un automatismo del quale possono liberarsi soltanto se vengono resi consci. Quest’ultimo procedimento è considerato a ragione come uno dei più importanti fattori terapeutici. Alla fine tali complessi, presumibilmente in proporzione alla loro distanza dalla coscienza, assumono per autoamplificazione un carattere arcaico e mitologico quindi un’a certa numinosità come è perfettamente chiaro nelle dissociazioni schizofreniche. Tuttavia la numinosità è completamente al di fuori della volizione cosciente, poiché trasporta il soggetto in uno stato di rapimento che è uno stato di abdicazione alla volontà.
Queste particolarità dello stato inconscio contrastano molto fortemente con il modo in cui si comportano i complessi nella mente conscia. Qui essi possono essere corretti: possono perdere il loro carattere di automatismo e essere essenzialmente trasformati. Essi si spogliano del loro involucro mitologico e, procedendo nella coscienza mediante un processo di adattamento, si personalizzano e si razionalizzano al punto che diventa possibile una discussione dialettica. Evidentemente lo stato inconscio è, malgrado tutto, differente da quello conscio. Sebbene a prima vista il processo continui nell’inconscio come se fosse conscio, appare con l’aumentare della dissociazione che esso sprofonda a un livello più primitivo (arcaico-mitologico) per avvicinarsi nel carattere al sottostante schema istintivo, e per assumere le qualità che sono i tratti distintivi dell’istinto: automatismo, mancanza di suscettibilità all’influenza, ogni-o-nessuna reazione, e così via. Impiegando l’analogia dello spettro, potremmo paragonare l’abbassamento dei contenuti consci a uno spostamento verso l’estremità rossa della banda cromatica, confronto particolarmente edificante in quanto il rosso, colore del sangue, ha sempre significato emozione e istinto.
Di conseguenza l’inconscio è un medium differente dal conscio. Nelle aree quasi-conscie non c’è molto cambiamento poiché in esse l’alternarsi delle ombre e delle luci è troppo rapido. Ma è proprio questa terra di nessuno che è di maggior valore per fornire la risposta alla bruciante questione dell’ipotesi: psiche = coscienza. Ci dimostra quanto sia relativo lo stato inconscio, in realtà talmente relativo che si sarebbe tentati di valersi di un concetto come il subconscio allo scopo di definire la parte più oscura della psiche. Ma la coscienza è ugualmente relativa poiché essa comprende non solo la coscienza in quanto tale ma un’intera scala di intensità di coscienza. Tra io faccio questo e io sono conscio di fare questo c’è un mondo di differenza che giunge talvolta all’aperta contraddizione. Quindi c’è una coscienza nella quale predomina l’incoscienza, come pure una coscienza nella quale predomina l’autocoscienza. Questo paradosso diventa immediatamente comprensibile quan4 ci rendiamo etn1t che non esiste nessun contenuto conscio di cui si possa dire con assoluta certezza che è totalmente conscio, poiché ciò richiederebbe una inimmaginabile totalità di coscienza, e questa a sua volta presupporrebbe una completezza e una perfezione ugualmennte inimmaginabili della mente umana. così arriviamo, alla paradossale conclusione che non c’è contenuto conscio che non sia sotto qualche altro aspetto inconscio. Forse non c’è nemmeno uno psichismo inconscio che non sia anche conscio nello stesso tempo. Quest’ultima proposizione è più difficile da dimostrare della prima, perché il nostro ego, che solo potrebbe verificare un’asserzione del genere, è il punto di riferimento per ogni coscienza e non ha una associazione tale con i contenuti inconsci da essere in grado di dire qualcosa circa la loro natura.
Per quanto riguarda l’ego essi sono inconsci a qualunque fine pratico, non però in modo assoluto, poiché l’ego può conoscere questi contenuti sotto un aspetto e non conoscerli sotto un altro, quando essi provocano alterazioni di consapevolezza. Inoltre ci sono processi rispetto ai quali non può essere dimostrata alcuna relazione con l’ego conscio e che tuttavia sembrano essere rappresentati o quasi-consci. Infine ci sono casi in cui un ego inconscio, e quindi una seconda coscienza, sono presenti, come già abbiamo visto, sebbene queste siano eccezioni.
Nella sfera psichica lo schema di comportamento costrittivo permette- variazioni di comportamento che sono condizionate dall’esperienza e da atti della volizione, cioè da processi consci. Rispetto allo stato psicoide, riflessivo-istintivo, la psiche implica quindi un allentamento dei legami ed una costante recessione dei processi meccanici a favore delle modificazioni selezionate. Questa attività selettiva ha luogo in parte entro la coscienza e in parte fiori di essa, cioè senza riferimento all’ego cosciente e quindi inconsciamente. Nell’ultimo caso il processo è quasi-conscio come se fosse rappresentato e conscio.
Siccome non ci sono motivi sufficienti per ritenere che in ogni individuo esista un secondo ego o che tutti soffrano di dissociazione della personalità, dobbiamo scartare l’idea di un secondo ego come origine di decisioni volontarie. Ma siccome l’esistenza di processi altamente complessi e quasi-consci nell’inconscio è già stata dimostrata insolitamente probabile dallo studio della psicopatologia e dalla psicologia dei sogni, siamo costretti bene o male a concludere che, sebbene lo stato dei contenuti inconsci non sia identico a quello dei contenuti consci, è in qualche modo assai simile ad esso. In queste circostanze non resta altro che supporre qualcosa e mezza strada tra gli stati consci e inconsci, vale a dire una coscienza approssimativa. Siccome abbiamo immediata esperienza soltanto di uno stato riflesso, che ipso facto è conscio e noto in quanto essenzialmente consiste nel riferire idee o altri contenuti a una struttura egologica che rappresenti la nostra personalità empirica, ne segue che ogni altro genere di coscienza sia senza ego che senza contenuti – è virtualmente impensabile. Ma non occorre affatto inquadrare la faccenda in un modo così assoluto. Su un piano umano un po’ più primitivo la coscienza dell’ego perde molto del suo significato e la coscienza conseguentemente viene modificata in un modo caratteristico. Soprattutto cessa di essere riflessa. E quando osserviamo i processi psichici nei vertebrati superiori e in particolare negli animali domestici, troviamo fenomeni simili a quelli della coscienza che tuttavia non ci permettono di congetturare l’esistenza di un ego. Come sappiamo dall’esperienza diretta, la luce della coscienza ha parecchi gradi di splendore, e la struttura egologica parecchie gradazioni di intensità. Sul piano animale e primitivo c’è una semplice luminosità‘ che differisce appena da tutti i balenanti frammenti dell’ego dissociato. Qui come al livello dell’infanzia, la coscienza non è ancora unitaria, in quanto non ‘è organizzata da una struttura egologica solidamente costruita, e manda appena barlumi di vita qua e là quando avviene che eventi esterni o interni, istinti ed effetti la risvegliano. In questa fase essa è ancora come una catena di isole o un arcipelago. Non è un insieme completamente integrato neppure agli 4% alti, piuttosto è capace di un’espansione indefinita. Isole scintillanti, e anzi continenti interi, possono ancora aggiungersi alla nostra coscienza moderna – un fenomeno che è divenuto la quotidiana esperienza dello psicoterapeuta. Perciò faremo bene a pensare la coscienza dell’ego come circondata da una moltitudine di piccole luminosità.
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