Mi sono sempre considerato un uomo di sinistra, e quindi ho sempre dato al termine «sinistra» una connotazione positiva, anche ora che è sempre più avversata, e al termine «destra» una connotazione negativa, pur essendo oggi ampiamente rivalutata. La ragione fondamentale per cui in alcune epoche della mia vita ho avuto qualche interesse per la politica o, con altre parole, ho sentito, se non il dovere, parola troppo ambiziosa, l’esigenza di occuparmi di politica e qualche volta, se pure più raramente, di svolgere attività politica, è sempre stato il disagio di fronte allo spettacolo delle enormi diseguaglianze, tanto sproporzionate quanto ingiustificate, tra ricchi e poveri, tra chi sta in alto e chi sta in basso nella scala sociale, tra chi possiede potere, vale a dire capacità di determinare il comportamento altrui, sia nella sfera economica sia in quella politica e ideologica, e chi non ne ha. Diseguaglianze particolarmente visibili e – a poco a poco irrobustendosi la coscienza morale col passare degli anni e il tragico evolversi degli eventi – sempre più consapevolmente vissute da chi, come me, era nato ed era stato educato in una famiglia borghese, dove le differenze di classe erano ancora molto marcate. Queste differenze erano particolarmente evidenti durante le lunghe vacanze in campagna dove noi venuti dalla città giocavamo coi figli di contadini. Tra noi, a dire il vero, c’era affettivamente un perfetto affiatamento e le differenze di classe erano assolutamente irrilevanti, ma non poteva sfuggirci il contrasto tra le nostre case e le loro, i nostri cibi e i loro, i nostri vestiti e i loro (d’estate andavano scalzi). Ogni anno, tornando in vacanza, apprendevamo che uno dei nostri compagni di giochi era morto durante l’inverno di tubercolosi. Non ricordo, invece, una sola morte per malattia tra i miei compagni di scuola di città.
Considerazioni sulla sinistra e la destra
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