Conta la ritualità collettiva
Ci sono state molte epoche storiche in cui una discussione filosofica o forense erano anche spettacolo: a Parigi, nel medioevo, si andava a seguire le discussioni delle quaestiones quodlibetales, non solo per sentire cosa il filosofo aveva da dire, ma per assistere a una gara, a un dibattito, a un evento agonistico. E non ditemi che ci si affollava negli anfiteatri ateniesi ad assistere a una trilogia tragica più dramma satiresco solo per stare seduti buoni buoni sino alla fine. Si andava a vivere un evento, dove contava anche la presenza degli altri, e le bancarelle dei cibi e delle bevande, e il rito nella sua complessità di festival culturale. Come si è andati a vedere Einstein on the Beach a New York dove l’azione teatrale durava più di cinque ore, ed era concepita in modo che il pubblico si alzasse, uscisse, andasse a bere qualcosa e a discuterne con gli altri, poi rientrasse, poi uscisse di nuovo. Entrare e uscire non è strettamente necessario. Immagino che si vada nelle arene ad ascoltare Beethoven seguendo la sinfonia dall’inizio alla fine: ma conta la ritualità collettiva. Come se quella che era la cultura Alta possa essere riaccettata e inserita in una nuova dinamica purché consenta anche degli incontri, delle esperienze in comune. Al conservatore che opponga che, così assorbita, la Cultura con la maiuscola non dà nulla, perché manca la necessaria concentrazione, si risponderà (se si è bene educati – ma esistono alternative più brusche) che non si sa quanto assorbisse il normale cliente della conferenza o del concerto, che sonnecchiava sobbalzando all’applauso finale. Il conservatore non avrebbe nulla da dire a chi si portasse Platone in spiaggia, anche se lo legge tra mille rumori, e loderebbe la buona volontà di questo coltissimo e volenteroso bagnante; poi non gli piace che lo stesso lettore vada a sentire un dibattito su Platone con gli amici, invece di andare in discoteca. Ma forse è difficile fargli capire che la spettacolarizzazione non significa necessariamente perdita di intensità, disattenzione, leggerezza di intenti. Si tratta soltanto di una diversa maniera di vivere il dibattito culturale.

Crediti
 Sette anni di desiderio
  Brano tratto da Cultura come spettacolo, articolo pubblicato per la prima volta ne 'La Società' - Quaderni, 2, aprile-maggio 1980
  Cronache 1977-1983
 SchieleArt •   • 




Quotes per Umberto Eco

I libri si rispettano usandoli, non lasciandoli stare. Se il libro è vostro e non ha valore di antiquariato non esitate ad annotarlo. Non credete a coloro che dicono che i libri vanno rispettati. Anche se lo rivenderete ad una bancarella e vi daranno solo due soldi, tanto vale lasciarvi i segni del vostro possesso.
La sottolineatura personalizza il libro. Segna le tracce del vostro interesse. Vi permette di ritornare a quel libro anche dopo molto tempo ritrovando a colpo d'occhio quello che vi aveva interessato.

Il computer non è una macchina intelligente che aiuta le persone stupide, anzi, è una macchina stupida che funziona solo nelle mani delle persone intelligenti.

Io ho sempre conosciuto persone che temevano il complotto di un qualche nemico occulto, gli ebrei per il nonno, i massoni per i gesuiti, i gesuiti per mio padre garibaldino, i carbonari per i re di mezza Europa, il re fomentato dai preti per i miei compagni mazziniani, gli Illuminati di Baviera per le polizie di mezzo mondo, e via, chissà quanta altra gente c’è ancora a questo mondo che pensa di essere minacciata da una cospirazione. Ecco qua una forma da riempire a piacere, a ciascuno il suo complotto.  Il cimitero di Praga

Abituarsi, in questo universo, non è più una cosa raccomandabile. E se una buona abitudine c'è da prendere è abituarsi a mutare con la massima rapidità il nostro atteggiamento percettivo di fronte alle cose… l'uomo in blocco – insomma – deve abituarsi a non abituarsi più.

L'eroe vero è sempre eroe per sbaglio, il suo sogno sarebbe di essere un onesto vigliacco come tutti.  Sette anni di desiderio