Corpo estraneo
Si chiama corpo estraneo qualsiasi specie di oggetto, di pezzo, di frammento o di sostanza introdotta in modo più o meno fortuito all’interno di un insieme o di un ambiente, se non propriamente organico, considerato per lo meno omogeneo e dotato di una regolazione propria alla quale il corpo estraneo non può essere sottomesso. Una putrella in cemento è un corpo estraneo in una foresta, così come lo è un tamburo di latta in un fiume. Ciò che l’espressione corpo estraneo rende sensibile è la consistenza stessa dello straniero, dell’estraneo. Non è solo la sua differenza, è anche, ed è soprattutto, che la differenza è un corpo – e questo termine prende allora tutta la sua valenza di concretezza resistente, di durezza autonoma. Un corpo è penetrabile solo secondo una delle due logiche opposte, quella dell’assimilazione e quella della distruzione. O la materia estranea viene assimilata dal corpo – ingerita, assorbita, metabolizzata – o al contrario intacca l’integrità del corpo: la ferisce, la strappa, la lacera, la mutila. (Quando si parla di penetrazione senza designare la minaccia invasiva, militare o medica, significa che si parla di amore. Nell’amore c’è lo scontro senza assimilazione né lacerazione. C’è corpo l’uno nell’altro e l’uno all’altro senza incorporazione né decorporazione. Amore significa scontro di due che eludono le trappole dell’uno.) Nel corpo estraneo, il corpo – in generale – assume il suo pieno valore di esclusione: un corpo è ciò che si separa. Un corpo è ciò che con l’esterno non ha che un rapporto di esteriorità, di distinzione, di isolamento, qualunque siano gli scambi nei quali può trovarsi allo stesso tempo implicato. Nel momento in cui si mostra come corpo straniero non è in alcun rapporto che risponda alle sue proprietà. Esso allora rivela al meglio la sua proprietà nuda: quella di fare corpo con sé stesso. Un corpo fa corpo: non si tratta di una tautologia. è l’attribuzione al soggetto del suo attributo essenziale. I corpi sono stranieri gli uni agli altri a causa dell’estraneità dello spirito che li anima. Tale estraneità crea anche la loro stranezza: non solo i corpi sono estranei, ma non si riconoscono e si avvicinano solo con difficoltà, obbligati a superare come minimo una diffidenza, a volte un timore, se non addirittura una repulsione. Un corpo non tocca facilmente un altro corpo, perché sa che questa prossimità minaccia di folgorarli insieme in una nuova scintilla del desiderio dello spirito. In un certo qual modo, tutti i corpi si toccano: il mondo è intessuto della contiguità di tutti i corpi fra i quali l’aria, la luce, il suono, gli odori e tutte le altre modulazioni della materia tessono incessantemente il tessuto sottile e serrato dell’universo. Quest’ultimo deve il suo nome solo all’unità di tale tessuto, unità dell’estensione intrecciata a sé stessa, unità che non si risolve né in unificazione, né in uniformità, unità per sua essenza distanziata da sé e esposta a sé stessa: corpi fra loro, condividenti il loro fra, il loro con, il loro contro – gli uni contro gli altri vicini e mischiati senza risoluzione. Nulla risolve il mondo in spirito: non è un difetto né un’assenza, al contrario, perché l’Uno non è il bene di cui gli esseri avrebbero bisogno o da cui sarebbero separati (povera logica e povera morale di mutilazione, di castrazione necessaria, di rassegnazione all’essere separato). L’Uno è esso stesso un’assenza, l’assenza a sé per eccellenza; l’Uno sprofonda nella sua solitudine, privo di tutto, anche di posizione, privo di unità e sussistenza.

Crediti
 Jean-Luc Nancy
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Quotes per Jean-Luc Nancy

Lo sento distintamente ed è molto più forte di una sensazione: mai l'estraneità della mia propria identità, che pure mi è sempre stata presente, mi ha toccato così intensamente. Io è diventato chiaramente l'indice formale di una concatenazione inverificabile ed impalpabile. Fra me e me c'è sempre stato uno spazio-tempo: ma adesso vi è l'apertura di un'incisione e l'irriconciliabile di un'immunità contrariata.  L'intruso

Non c'è da stupirsi se qui genera più confusione che là dove è nato. Perché in Cina si era già sul piede di guerra, che si tratti di mercati o di malattie. In Europa vi era invece un certo disordine: tra le nazioni e tra le aspirazioni. Il risultato di tale disordine è stata l'indecisione, l'agitazione e un difficile adattamento.  Un virus troppo umano

L'amore è il nome della fine infinita secondo il buon infinito. In esso il compimento consiste non in una produzione ma in qualche modo nella riproduzione, nella ripetizione, ossia nella ruminatio di un incommensurabile: l'amore, precisamente, come assegnazione (attribuzione, attestazione, dichiarazione e anche creazione: bisognerebbe analizzare tutti questi modi) di un valore assoluto – nemmeno «valente», in qualche modo, o valente di non essere valutabile.

L'intruso, viene in realtà da dentro, è nessun altro se non me stesso e l'uomo stesso. Non è nessun altro se non lo stesso che non smette mai di alterarsi, insieme acuito e fiaccato, denudato e bardato, intruso nel mondo come in se stesso, inquietante spinta dello strano, conatus di un'infinità escrescente.

Il coronavirus in quanto pandemia è, a tutti gli effetti, un prodotto della globalizzazione. Ne precisa i tratti e le tendenze, è un libero-scambista attivo, combattivo ed efficace. Partecipa al grande processo attraverso il quale una cultura si dissolve, mentre si afferma qualcosa che, più che una cultura, è un meccanismo di forze inestricabilmente tecniche, economiche, dominanti ed eventualmente fisiologiche o fisiche (si pensi al petrolio o all'atomo).  Un virus troppo umano