Antonin Artaud scrive Roland Barthes, «è ciò che, in filologia, si definisce hapax, una forma o un errore che si incontra una sola volta in tutto il testo». La sua singolarità «non è quella del genio, e neppure quella dell’eccesso, non ha niente d’ineffabile, e si può esprimere in una maniera molto razionale: Artaud scrive nella distruzione del díscorso». Artaud è folle, Artaud è fuoco, ma un fuoco oscuro, antigrammaticale. In apertura delle sue Oeuvres complètes Artaud ci mette in guardia: «Io scrivo per gli analfabeti». Ci si chiede come sia possibile… «Al giorno d’oggi, quando si parla di cultura», sostiene Artaud, i governi pensano ad aprire scuole, a far lavorare le tipografie, a far colare l’inchiostro delle stamperie, mentre per farla crescere, la cultura, bisognerebbe chiudere le scuole, bruciare i musei, distruggere i libri, frantumare le rotative delle tipografie. Scrivere è danzare, danzare alla rovescia, per mangiare il proprio destino e assimilarlo con la conoscenza». Essere colti «significa capire che i libri mentono quando parlano di dio, della natura, dell’uomo, della morte e del destino». Distruggere la Ragion (culturale) di Stato nel nome di un’altra conoscenza: la conoscenza ebbra. Quella dei folli, la sola che resti dopo il disastro ragionevole e democratico della guerra e della fame (e non è certo un problema sorto in questi giorni…). «Danzare contro l’esprit de géométrie, contro la motivazione politica, le leggi di gravità… Danzare nella sarabanda della rivoluzione, quella degli umiliati, dei barbari e degli analfabeti. Il pensiero è un essere – cattivo», e le cose «si formano nell’ignoranza e nel silenzio con una ricerca paziente e minuziosa dei corpi». E lo stile? «Lo stile è l’uomo, l’uomo e il suo corpo.» Analfabeta è chi non sa né leggere, né scrivere, ma è anche il bambino (l’infante, il petit fou) che non sa nemmeno parlare. L’Accademia preferisce un’altra parola, illetterato, ossia omo senza lettere. Ovvero il figlio bastardo, il criminale che non si pente, il bruto esiliato dal regno della parola data. Per il medico, analfabeta è il folle che si perde nei suoi deliri linguistici docenti o soliloqui? Per lo Stato è il clandestino, per il fisco, il miserabile. Si discute del tasso di analfabetismo, della percentuale di analfabeti nella popolazione, delle leggi contro l’imbarbarimento della cultura. In nome del complesso di Edipo, o della competitive intelligence, si spartiscono la libertà e la dignità di parola… La ragione letteraria è solo l’altro volto della farneticazione medica e della dialettica dell’esclusione, parole chiave della visione borghese della vita pubblica. Derivato dal latino follis (mantice per il fuoco), folle è lo stupido, l’idiota senza ragione: insipiens, mente captus, stultus. Di chi nutre folti speranze si dice che è matto, matto furioso. Questo libretto non è adatto all’uomo di cultura, o allo spacciatore di libri, richiede gente di un’altra razza, esige matti furiosi. Per meglio dire: se ne fotte del lettore. Per leggerlo, bisogna gridare con Artaud, «avere un corpo, dire io sono». Bisogna diventare matti, matti da legare. Bisogna diventare fuoco, rinascere, tornare selvatici e analfabeti per trovarne la chiave. Eccentrica, eccessiva, piena di intensità, la lettura, come la libertà, è il gesto di un folle analfabeta, una sovversione di fatto, lo stridere di un ferro rovente.
Danzare contro l’esprit de géométrie
Crediti
Quotes per Anna Maria Tocchetto
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