Dell'opinione altrui
Nessuna cosa evidentemente contribuirebbe meglio alla nostra felicità, composta principalmente di calma dello spirito e di soddisfazione, del limitare la potenza di un tale motore, e dell’abbassarla a un grado che la ragione potesse giustificare a 1/50 per esempio estraendo così dalle nostre carni questa spina che le strazia. Ma la cosa è molto difficile; abbiamo a che fare con una bizzarria naturale ed innata: Anche i saggi si spogliano per ultimo dalla passion della gloria, dice Tacito Hist. IV, 6. Il solo mezzo di liberarci da questa follia universale sarebbe di riconoscerla distintamente per una follia, e, a tale scopo, renderci conto ben chiaramente fino a qual punto le opinioni, nelle teste degli uomini, siano in massima parte e molto di frequente false, storte, erronee ed assurde; quanto l’opinione altrui abbia poca influenza reale su noi nella maggior parte dei casi e delle cose; quanto in generale essa sia cattiva, talmente che non vi sarebbe chi non si ammalerebbe dalla collera se sentisse in che tono si parla e cosa si dice di lui; quanto infine l’onore istesso non abbia, propriamente parlando, che un valore indiretto e non immediato, ecc. Se potremo riuscire ad ottenere la guarigione di questa pazzia generale, guadagneremo infinitamente in calma di spirito ed in soddisfazione, ed acquisteremo nel tempo stesso un contegno più fermo e più sicuro, e un portamento molto più sciolto e più naturale. L’influenza affatto benefica d’una vita ritirata sulla nostra tranquillità d’animo e sulla nostra soddisfazione proviene in gran parte perché essa ci sottrae all’obbligo di vivere costantemente sotto lo sguardo altrui e, per conseguenza, ci toglie la preoccupazione incessante sulla loro possibile opinione: ciò che ha per effetto di renderci a noi stessi. In tal maniera sfuggiremo egualmente a molti mali effettivi la cui causa unica è questa aspirazione puramente ideale, o, per dire più correttamente, questa deplorabile demenza; ci resterà pure la facoltà di prestare maggior cura ai beni reali, che potremo allora gustare senza essere disturbati. Ma «Χαλεπα τα καλα» moleste le cose buone lo abbiamo già detto.

Dalla follia della natura umana or ora descritta, germogliano tre rampolli principali: l’ambizione, la vanità e l’orgoglio. Tra i due ultimi la differenza consiste in ciò che l’orgoglio è la convinzione già fermamente acquistata del nostro alto valore sotto ogni rapporto; la vanità invece è il desiderio di far nascere questa convinzione negli altri e, d’ordinario, colla secreta speranza di poter in seguito appropriarsela. Così l’orgoglio è l’alta stima di sé, procedente dall’interno, dunque diretta; la vanità invece è la tendenza ad acquistarla dal di fuori, dunque indirettamente. Per ciò la vanità rende loquaci, l’orgoglio taciturni. Ma il vanitoso dovrebbe sapere che l’alta opinione degli altri, a cui aspira, si ottiene molto più presto e più sicuramente serbando un continuo silenzio che parlando, quand’anche s’avesse da dire le più belle cose del mondo. Non è orgoglioso chiunque lo voglia; tutt’al più può affettare orgoglio chiunque lo voglia; ma quest’ultimo si tradirà ben presto nella parte che vuol rappresentare, siccome in ogni parte presa a prestito. Perocché ciò che rende realmente orgoglioso si è la ferma, l’intima, l’incrollabile convinzione di meriti eminenti e d’un valore straordinario. Tale convinzione può essere erronea, oppure basarsi su meriti semplicemente esterni e convenzionali — ciò poco importa all’orgoglio, purché essa sia reale e sincera. Poiché l’orgoglio ha le sue radici nella convinzione, sarà, come ogni idea, al di fuori della nostra libera volontà. Il suo peggior nemico, voglio dire il suo maggior ostacolo, è la vanità che briga l’approvazione altrui per fondar poi su questa la propria alta stima di sé stessa, mentre l’orgoglio suppone un’opinione già fermamente stabilita.

Quantunque l’orgoglio sia generalmente biasimato ed infamato, nondimeno sono tentato di credere che ciò venga principalmente da coloro che non hanno di che insuperbirsi. Vista l’impudenza, e la stupida arroganza della maggior parte degli uomini, ogni persona che possiede meriti di qualsivoglia specie farà molto bene a metterli in chiara luce da sé stesso, allo scopo di non lasciarli cadere in un completo oblio; perocché colui che benevolmente, non cerca di approfittarsene e si conduce con la gente come se fosse affatto suo simile, non tarderà ad esser considerato da essa in tutta sincerità come un suo pari.
Vorrei raccomandare di condursi in siffatta guisa a coloro soprattutto i cui meriti sono dell’ordine il più elevato, meriti reali, in conseguenza puramente personali, attesoché essi non possono esser richiamati ad ogni momento alla memoria, come le decorazioni e i titoli, da una impressione dei sensi; altrimenti facendo, vedranno realizzarsi troppo spesso il sus Minervam il maiale che ammonisce Minerva.

Un eccellente proverbio arabo dice: Scherza collo schiavo, ed ei ti mostrerà ben tosto il deretano. Anche la massima di Orazio: Sume superbiam quaesitam meritis Assumi la superbia richiesta dai meriti non è da disdegnare. La modestia è proprio una virtù inventata principalmente per uso e consumo dei mariuoli, perocché esige che ciascuno parli di sé come se fosse un mariuolo: ciò che stabilisce un’eguaglianza di livello ammirabile e produce la stessa apparenza come se non vi fosse in generale che della canaglia.

Intanto l’orgoglio a più buon mercato è l’orgoglio nazionale. Esso tradisce presso chi ne è tocco l’assenza di ogni qualità individuale di cui potesse andar fiero, perocché, se così non fosse, questi non sarebbe ricorso ad una qualità che divide con tanti milioni d’individui.
Chiunque possiede meriti personali distinti riconoscerà invece più chiaramente i difetti della sua nazione, poiché l’ha sempre sotto gli occhi. Ma ogni miserabile imbecille, che non ha al mondo cosa di cui possa andar superbo, si getta su quest’ultima risorsa, d’esser fiero cioè della nazione alla quale si trova appartenere per azzardo; si è con ciò che vuol rifarsi, e, nella sua gratitudine, è pronto a difendere πνιξ και λαξ a pugni ed a calci tutti i difetti e tutte le sciocchezze proprio alla sua nazione.

Così, su cinquanta inglesi, per esempio, se ne troverà appena uno solo che leverà la voce per approvarvi quando parlerete con giusto disprezzo del bigottismo stupido e degradante della sua nazione; ma questo solo individuo sarà certamente una buona testa. I Tedeschi non hanno orgoglio nazionale e provano così quell’onestà di cui hanno la fama; invece provano tutto il contrario coloro fra i Tedeschi che professano ed affettano in modo ridicolo tale orgoglio, come fanno principalmente i deutschen Brüder fratelli tedeschi ed i democratici che adulano il popolo allo scopo di sedurlo. Si pretende bene che i Tedeschi abbiano inventato la polvere, ma io non sono di quest’opinione. Lichtenberg presenta la seguente questione: «Perché un uomo che non è tedesco si fa molto di rado passare per tale? e perché quando vuol farsi passare per qualche cosa, si dirà ordinariamente francese o inglese?» Vedemmo cosa dice lo Schopenhauer dei Francesi, degli Inglesi e dei Tedeschi; vediamo ora come parla degli Italiani: «Qualità dominante nel carattere nazionale degli Italiani si è un’impudenza assoluta che proviene da ciò che eglino si considerano come se non fossero né al di sopra né al di sotto di chicchessia, vale a dire che sono a vicenda arroganti e sfrontati, oppure vili ed abbietti. Chiunque, invece, ha pudore è per certe cose troppo timido, per altre troppo fiero. L’italiano non è né l’uno né l’altro, ma secondo le circostanze poltrone od insolente. » Dei Tedeschi scrisse pure: «In previsione della mia morte faccio questa confessione: che disprezzo la nazione tedesca a causa della sua infinita stupidezza, e che arrossisco di appartenerle.» Si veda in proposito: A. SCHOPENHAUER. Von ihm. Ueber ihn, von Lindner; Memorabilien, von Frauenstaedt (Berlino, 1863). (Nota del Trad.).. Del resto l’individualità, in ogni persona, è cosa ben altrimenti importante della nazionalità, e merita mille volte più di questa d’esser presa in considerazione. Onestamente non si potrà mai dire gran bene d’un carattere nazionale, poiché nazionale significa che appartiene al volgo. Si è piuttosto la meschinità dello spirito, la demenza e la perversità della specie umana che sole spiccano in ogni paese sotto forma differente, ed è questo che si chiama carattere nazionale. Stomacati di uno, ne lodiamo un altro, fino a che anche questo c’ispira lo stesso sentimento. Una nazione si ride dell’altra, e tutte hanno ragione.

La materia di questo capitolo può esser classificata, come dicemmo, in onore, grado e gloria.


Crediti
 Arthur Schopenhauer
 Aforismi sulla saggezza nella vita
  Traduzione Oscar D. Chilesotti
  Dell'opinione altrui
 SchieleArt •   • 




Quotes per Arthur Schopenhauer

Il mondo non è che la rappresentazione di una volontà che non conosciamo  Il mondo come volontà e rappresentazione

Con l'eliminazione del diritto del più forte si è introdotto il diritto del più furbo.

L'egoismo, di cui tutti noi siamo stracolmi, è la nostra partie honteuse [parte vergognosa] per nascondere la quale abbiamo inventato la gentilezza. L'egoismo traspare da tutti i veli sotto cui tentiamo di nasconderlo, soprattutto quando cerchiamo istintivamente di utilizzare chiunque ci capiti davanti come un possibile mezzo per uno dei nostri innumerevoli fini. Appena facciamo una nuova conoscenza, infatti, pensiamo subito se essa potrebbe servirci in qualche modo. Per la maggior parte delle persone, quando sono convinte che il nuovo conosciuto a loro non serve, quest'ultimo diventa proprio un nulla.  Il fondamento della morale

Supponiamo che volessimo sapere come si condurrà una persona in una situazione in cui abbiamo intenzione di metterla; per ciò non bisognerà contare sulle sue promesse e sulle sue asserzioni. Perocché anche ammettendo che ne parli sinceramente, essa parla pur sempre di una cosa che ignora. Si è dunque dall'apprezzamento delle circostanze in cui sarà per trovarsi, e del conflitto di queste col suo carattere, che noi potremo renderci conto del suo agire futuro.

Ogni uomo considera i limiti della propria visione personale come i limiti del mondo.