In un primo generico significato indica «la coesistenza di differenti modi di lavoro» (Lavoro) osservabili concretamente nelle caratteristiche diverse delle merci. In questo senso la divisione del lavoro è molto antica; pur restando nell’ambito della produzione separata dallo scambio essa data dalla comparsa dei primi mercanti e dei primi artigiani, cioè di persone che all’interno della comunità svolgevano non occasionalmente attività specifiche.
«In senso capitalistico» la divisione del lavoro indica la coscienza «… del lavoro particolare che produce una determinata merce, in una somma di semplici operazioni, combinate e ripartite fra operai differenti»; una caratteristica fondamentale di questa nuova situazione è che essa «presuppone la divisione del lavoro entro la società, al di fuori dell’officina, come divisione delle professioni». Da un punto di vista storico ciò si manifesta al tempo delle manifatture al cui interno non solo il lavoro è organizzato in modo che a ciascun operaio tocchino solo poche e semplici operazioni, ma, ben presto, anche in modo gerarchico (capisquadra, capireparto, tecnici, ecc.) allo scopo di sorvegliare e dirigere il lavoro.
Così in una manifattura di carrozze del XVII e XVIII secolo vi sono gli operai che costruiscono soltanto le razze delle ruote, altri il cerchio, altri ancora provvedono al loro montaggio e altri a verniciarle. Analogamente per ogni altra parte e gruppo di parti che costituiscono la carrozza finita. Il risultato è che nessun operaio saprebbe costruire una carrozza e nemmeno passare agevolmente da un’operazione all’altra.
Man mano che le operazioni diventano più particolareggiate la divisione del lavoro si accentua in mansioni sempre meno collegabili da parte del singolo operaio al prodotto finito; egli diventa un ripetitore di gesti destinati a produrre oggetti che gli sono estranei e finisce col saper fare sempre meglio e soltanto quelli. Si perpetuano così i mestieri via via più specializzati e quindi limitati, la cui esistenza è altrettanto rilevabile fuori della fabbrica, nella società dove servono a indicare, perfino nei documenti personali di identità, una precisa collocazione sociale.
D’altra parte, osserva Marx, questo fatto «presuppone, per svilupparsi ordinatamente, una certa densità di popolazione, e ancor più la presuppone lo sviluppo della divisione del lavoro nell’officina. Quest’ultima divisione, fino a un certo grado presupposto dello sviluppo della prima, a sua volta l’aumenta per una azione reciproca. Poiché separa operazioni prima appartenenti alla stessa categoria in altre indipendenti l’una dall’altra, accresce e differenzia i lavori preparatori indirettamente richiesti da esse, e infine, con l’accrescimento della produzione, della popolazione, la messa in libertà di capitale e di lavoro, crea nuovi bisogni e nuove maniere di soddisfarli …» Marx, Storia delle teorie economiche, III, p. 291.
Il modo di produzione capitalistico, in altri termini, reca in sé la necessità della divisione sociale del lavoro accanto alla necessità di altre divisioni: del lavoro produttivo dai mezzi di produzione, dell’uomo-cittadino dall’uomo-operaio, del lavoro intellettuale da quello manuale, ecc.
Nei Manoscritti economico-filosofici del 1844 Marx definiva la divisione del lavoro come «l’espressione economica della socialità del lavoro nell’alienazione umana»; più tardi, nella sua maturità, accentuando l’analisi dei meccanismi che producevano l’alienazione piuttosto che descrivere le sue forme, scrisse:
«La divisione del lavoro sviluppa la forza produttiva sociale del lavoro o la forza produttiva del lavoro sociale, ma a spese della capacità produttiva generale dell’operaio. E quell’aumento della forza produttiva sociale gli si contrappone quindi come aumentata forza produttiva non del suo lavoro, ma della potenza che lo domina, del capitale» ivi, p. 91.
La soppressione del modo capitalistico di produzione porta dunque con sé la fine del lavoro diviso e perciò alienato, vissuto da chi lo compie come monotonia, costrizione insensata, ripetizione, soffocamento delle inclinazioni naturali, mancanza di sviluppo aperto della propria personalità. Insieme cadranno anche la divisione tra il pur necessario lavoro manuale e il lavoro intellettuale, creativo, artistico che sarà liberato a sua volta dalla servitù materiale e dal carattere di privilegio di classe; anche la divisione del lavoro su scala mondiale, prodotto tipico dell’età dell’imperialismo, potrà allora essere eliminata venendo meno il potere che assegna in nome del profitto a certi paesi alcuni tipi di produzione piuttosto che altri.
La divisione del lavoro è dunque un fenomeno che si manifesta su piani diversi ma tra loro connessi; non solo nel luogo del lavoro ma nella società, non solo in ragione della specificità del lavoro svolto ma del «grado» occupato nell’organizzazione del lavoro in fabbrica. Divenuta reale con la separazione del lavoro intellettuale da quello materiale, la divisione «sociale» del lavoro è un evento parallelo a quello della proprietà privata. Meglio, secondo Marx, le due espressioni indicano la stessa cosa: la divisione del lavoro «in riferimento all’attività », la proprietà privata «in riferimento al prodotto dell’attività ».
Dizionario enciclopedico marxista
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a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
SchieleArt • Seated Child • 1916
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