
Parola d’ordine lanciata dal VII Congresso dell’Internazionale Comunista (Internazionale) nel 1935, sulla base di alcune esperienze, già verificatesi precedentemente in Europa e in particolare in Francia, di unità e di alleanza con tutte le forze antifasciste. Essa rappresentava l’applicazione in forme nuove della tattica di fronte, i cui caratteri vengono ridefiniti in funzione della possibilità di coalizzare, attorno al proletariato, vasti strati di piccola e media borghesia urbana e rurale e i partiti che ne rappresentano gli interessi, che sempre più venivano a trovarsi in aperto conflitto con la grande borghesia monopolistica. Per mezzo di questa tattica e dei suoi due contenuti fondamentali – lotta contro il fascismo e contro la guerra – si poneva ai comunisti non il compito immediato della conquista del potere, ma quello dell’abbattimento del fascismo, quale condizione per l’avanzamento verso la rivoluzione proletaria. La lotta per la democrazia e per la creazione di un governo che «pur non essendo ancora il governo della dittatura del proletariato si incarichi di applicare delle misure decise contro il fascismo e contro la reazione» si presentava dunque come l’indispensabile compito storico, come tappa cioè non di semplice restaurazione della democrazia borghese, ma di creazione di un terreno più favorevole, di una democrazia progressiva, che rompesse i legami con il monopolismo e l’imperialismo e che preparasse la rivoluzione. Così Dimitrov nel suo rapporto al VII Congresso dell’Internazionale Comunista descrive le caratteristiche principali del fronte popolare: «Per la mobilitazione delle masse lavoratrici contro il fascismo è in particolar modo importante la creazione di un largo fronte popolare antifascista sulla base del fronte unico proletario. Il buon successo di tutta la lotta del proletariato è strettamente connesso all’alleanza di combattimento del proletariato con i contadini lavoratori e con le masse fondamentali della piccola borghesia urbana, che costituiscono la maggioranza della popolazione anche nei paesi industrialmente più sviluppati» Rapporto al VII Congresso, in AA.VV., L’Internazionale e il fascismo, p. 69.
Si poneva quindi ai comunisti la necessità di comprendere la natura delle forze e degli strati sociali che di volta in volta potevano far parte del fronte, le contraddizioni che al suo interno continuavano a sussistere e a operare. Al di fuori di ciò, il fronte popolare rischiava di rimanere un principio astratto o la realizzazione di un blocco senza principi. L’egemonia e la direzione del fronte da parte della classe operaia (che si sintetizza nella frase «costruire il fronte popolare sulla base del fronte unico proletario») era allora la condizione che garantiva il legame tra la conquista del potere e gli obiettivi parziali per il suo avvicinamento: isolamento del fascismo e della grande borghesia, realizzazione di misure che ne intaccavano la forza, difesa e miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse, unità e rafforzamento della classe operaia. Non si trattava quindi di assumere da parte del proletariato un programma piccolo borghese, ma al contrario di inserire nel programma rivoluzionario le rivendicazioni popolari.
«Ciò che è fondamentale, che ha importanza decisiva per la costituzione del fronte popolare antifascista, è l’azione risoluta del proletariato rivoluzionario in difesa delle rivendicazioni di questi strati e in modo particolare dei contadini lavoratori, rivendicazioni che hanno attinenza con gli interessi fondamentali del proletariato e che devono essere coordinate, nel corso della lotta, con le rivendicazioni della classe operaia. È di grande importanza nella creazione del fronte popolare antifascista avere un giusto atteggiamento verso le organizzazioni e i partiti ai quali appartengono in numero considerevole i contadini e le masse fondamentali della piccola borghesia urbana» ivi, p. 70.
Politicamente il fronte popolare si espresse attraverso la ricerca dell’unità in particolare con la socialdemocrazia, le cui responsabilità nell’avvento del fascismo in Europa non escludevano però la possibilità di un’azione e di un programma comuni. Ciò rappresentava per l’Internazionale Comunista un’evidente autocritica rispetto al giudizio settario precedentemente espresso dai comunisti sui partiti socialdemocratici.
Le più significative esperienze storiche del fronte popolare da quelle spagnola e francese del 1936 e poi dei Fronti nazionali contro il nazifascismo, fino a quella italiana (dal patto di unità d’azione con il PSI del 1934, fino alla politica unitaria nel Comitato di Liberazione Nazionale e all’esperienza del Fronte Democratico Popolare, nell’Italia post-bellica delle elezioni del 1948) dimostrano proprio come il rapporto con i partiti socialdemocratici e riformisti sia l’asse su cui misurare la capacità di una coerente linea di fronte di evitare gli opposti errori che la riducono o a un patto interclassistico senza principi, o all’opposto a un’affermazione di principio incapace di una concreta presa sulla realtà storica e politica e sui rapporti tra le classi.
Dizionario enciclopedico marxista
www.resistenze.org
a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
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