
È il conflitto con l’impiego di forze militari tra due o più nazioni. Nella storia dell’umanità il ricorso alla forza organizzata (esercito) per decidere i contrasti di qualsiasi natura, rivendicazioni territoriali, questioni dinastiche, espansione commerciale, e via dicendo, è un evento costante e così frequente da essere ritenuto nell’opinione comune alla stessa stregua di una calamità naturale.
Per Marx ed Engels la natura della guerra è essenzialmente economica e direttamente collegata alla lotta delle classi; sotto questo profilo non può esistere la «guerra» in senso generale ma singole guerre le cui caratteristiche, e quindi la valutazione che ne deriva, dipendono dalle ragioni economico-sociali che ne sono alla base.
La «guerra è la continuazione della politica con altri mezzi (e precisamente con mezzi violenti). Questa celebre espressione appartiene ad uno dei più profondi scrittori dei problemi militari, Clausewitz. Giustamente i marxisti hanno sempre ritenuto questa tesi come la base teorica del modo di considerare il significato di ogni guerra. Marx ed Engels hanno sempre considerato le varie guerre precisamente da questo punto di vista» Lenin, Il Socialismo e la guerra, p. 22.
Il marxismo, nel definire alcuni tipi storici di guerra, ne individua due caratteristiche fondamentali, che forniscono anche criteri di valutazione in senso positivo o in senso negativo: le guerre «difensive» e quelle di «aggressione». Così nel periodo che va dalla Rivoluzione francese alla Comune di Parigi (1789-1871) le guerre tra le nazioni hanno essenzialmente un carattere «borghese progressivo» nel senso che ad esse seguono rivolgimenti interni che mutano il vecchio assetto sociale e portano alla ribalta idee e esigenze più avanzate. Le guerre di questo periodo sono «difensive» e possono essere considerate «giuste» in quanto il loro fine è l’abbattimento del feudalesimo e dell’assolutismo, il che giustifica anche la presenza del proletariato accanto alla borghesia.
Guerre difensive sono ovviamente le guerre civili di tutti i tempi e le rivoluzioni; secondo Engels «il diritto alla rivoluzione» è del resto il solo vero «diritto storico», l’unico su cui riposano tutti gli Stati moderni senza eccezione; giuste sono le guerre di liberazione dei popoli che si ribellano al giogo imperialista delle grandi potenze.
Al contrario le guerre degli Stati imperialisti sono sempre e solo di «aggressione», perché motivate dalla «conservazione artificiale del capitalismo mediante le colonie, i monopoli, i privilegi e le oppressioni».
Le attuali guerre di liberazione dei popoli del cosiddetto Terzo mondo, quale che sia la classe che le dirige, sono oggettivamente progressive perché si rivolgono contro l’imperialismo, e trovano perciò il loro naturale alleato nella classe operaia di questi paesi.
È la forma di lotta armata che consiste nel costringere il nemico ad affrontare numerosi combattimenti isolati, in cui si trovi in condizioni di inferiorità. Secondo la concezione marxista la guerriglia è l’applicazione tattica del principio strategico (Strategia e tattica) della guerra di popolo di lunga durata per la liberazione nazionale, che permette, attraverso la mobilitazione popolare, di realizzare un legame diretto tra lotta politica e organizzazione militare. I movimenti di liberazione dei paesi del Terzo Mondo utilizzano ampiamente questa forma di lotta, poiché per attuarla non è necessario disporre di strumenti bellici estremamente costosi e raffinati. Durante la resistenza contro il nazifascismo in Italia, in Jugoslavia, nell’URSS, e in altri paesi europei le formazioni partigiane hanno adottato prevalentemente questa tattica (Strategia e tattica).
Dizionario enciclopedico marxista
www.resistenze.org
a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
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