Teoria economica sviluppatasi negli ultimi decenni del sec. XIX sulla base di una critica radicale delle ricerche sul valore operate dall’economia classica (Economia politica) e in particolare della teoria del valore-lavoro di Ricardo. Il punto di partenza del pensiero marginalista era la negazione del rapporto tra valore e costo di produzione di una merce, a cui veniva sostituito il concetto di utilità. Sebbene i classici non avessero ignorato l’analisi dell’utilità (Smith specialmente ne aveva trattato diffusamente), tuttavia essa non era stata mai considerata come la base della spiegazione del valore di scambio delle merci, che veniva invece fondato sul processo sociale complessivo dell’attività economica, trascurando i fattori individuali soggettivi.
Alternativamente alla teoria classica, invece, i marginalisti fondavano una teoria del valore che si basava sull’individuo e sull’analisi dei suoi bisogni, facendo dipendere interamente il valore di una merce dal suo grado di utilità, cioè dalla sua capacità di soddisfare i bisogni soggettivi. Così i fenomeni economici della società non erano intesi come l’espressione oggettiva di determinate forze sociali, ma risultavano dal comportamento soggettivo degli individui. I marginalisti sostenevano di aver sviluppato una teoria del valore indipendente da ogni particolare struttura sociale o considerazione storica, e quindi valida universalmente. L’introduzione evidente dell’elemento psicologico nell’analisi economica portava a trasformare radicalmente il concetto di lavoro che, invece di attività socialmente necessaria e misurabile quantitativamente sulla base dell’unità di tempo, diveniva espressione del «sacrificio soggettivo» sostenuto dai singoli in una società intesa come agglomerato di individui.
Se la scuola classica aveva posto l’accento sulla produzione e sull’offerta, il marginalismo si occupa principalmente del consumo e della domanda. Il concetto di utilità marginale fu introdotto appunto per spiegare questo spostamento di oggetto nell’indagine. Al di là di pur non secondarie differenziazioni tra i suoi esponenti – i maggiori sono l’inglese S. Jevons, l’austriaco K. Menger e il francese L. Walras – tale concetto si può così riassumere: per spiegare la non concordanza del valore di scambio di una merce con la sua capacità di soddisfare bisogni, cioè con il suo valore d’uso, si afferma che di un complesso di merci non bisogna considerare la sua utilità complessivamente, bensì quella variabile di ciascuna unità dell’insieme delle merci. Più il numero di queste unità è grande, minore è l’intensità dei bisogni che si può soddisfare con esse, poiché ogni bisogno vede decrescere la propria intensità nella misura in cui è soddisfatto. Così l’aumentare del complesso delle merci produce il decrescere dell’utilità di ciascuna unità. Quindi il valore di una merce dipende, per i marginalisti, dalla combinazione della sua utilità e della sua rarità; è determinato dall’utilità «marginale», cioè dall’utilità di quella merce che è, tra tutte, la meno utile; di quella che, essendo la meno rara, segna il confine nello scambio con le merci non vendute e, nella produzione, con quelle non prodotte.
Il marginalismo ebbe una grande influenza su tutti gli sviluppi della teoria economica, di cui divenne la base indiscussa e conquistò rapidamente un primato che non mancò di avere conseguenze nel pensiero economico del ‘900, fino ai nostri giorni. Per questa ragione si è parlato anche di una seconda generazione della scuola marginalista che, sia pure con differenziazioni anche notevoli, attraverso i nomi di A. Marshall, E. Böhm-Bawerk e V. Pareto, segna gran parte del percorso della teoria economica dei primi decenni del ‘900, si può dire fino alla grande crisi del ’29 e al pensiero di Keynes che ne conduce, sia pure all’interno dell’economia borghese, la critica più radicale. Con la crisi del liberalismo e dell’economia classica, di fronte alle profonde modificazioni in senso monopolistico che il capitalismo assumeva, il marginalismo rappresentava nel campo economico quelle risposte di tipo soggettivista e spiritualista verso cui il pensiero borghese e gli orientamenti culturali nel loro complesso si andavano volgendo.
Dizionario enciclopedico marxista
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a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
SchieleArt • Lyric poet • 1911
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