
È il periodo storico della transizione dal capitalismo al comunismo; viene definito da Marx anche come fase inferiore della società comunista.
La proprietà statale dei mezzi di produzione e la dittatura del proletariato possono essere considerate come le principali e più generali caratteristiche che distinguono il socialismo da tutte le altre epoche storiche.
Come il comunismo anche il socialismo è stato teorizzato più volte in diverse epoche. Le prime vere e proprie teorie socialiste, elaborate in modo relativamente organico e coerente, risalgono al secolo XVIII e soprattutto ai primi decenni del XIX. Infatti è solo a partire da questo periodo che il proletariato inizia ad assumere le caratteristiche di una classe autonoma, capace di elaborare, attraverso gli intellettuali organicamente legati ai suoi interessi una nuova concezione della società e una vera e propria dottrina del socialismo.
Marx ed Engels dedicarono un apposito capitolo del Manifesto del Partito Comunista all’analisi critica delle dottrine che, in diversa misura, si ispiravano al socialismo. L’importanza di questa analisi risulta evidente osservando che
«Il socialismo moderno, considerato nel suo contenuto, è anzitutto il risultato della visione, da una parte, degli antagonismi di classe, dominanti nella società moderna, tra possidenti e non possidenti, salariati e capitalisti; dall’altra, della anarchia dominante nella produzione. Considerato invece nella sua forma teorica, esso appare all’inizio come una continuazione più radicale, che vuol essere più conseguente, dei principi sostenuti dai grandi illuministi francesi del XVIII secolo. Come ogni nuova teoria, esso ha dovuto anzitutto ricollegarsi al materiale ideologico preesistente, per quanto avesse la sua radice nella realtà economica» Engels, L’evoluzione del socialismo dall’utopia alla scienza, p. 67.
Marx ed Engels distinguono tra socialismo reazionario, socialismo conservatore borghese e socialismo e comunismo critico-utopistici.
Al socialismo reazionario appartennero in primo luogo quei settori dell’aristocrazia francese e inglese che, allo scopo di contrastare lo sviluppo della nascente società capitalistica, si appellarono demagogicamente alla denuncia delle condizioni di vita della classe operaia, mentre erano essi stessi rappresentanti dei privilegi della vecchia società feudale; questa corrente fu chiamata da Marx ed Engels del socialismo feudale. Al socialismo reazionario appartennero anche i sostenitori di una concezione piccolo-borghese che, in Francia e in Inghilterra, pur avendo colto alcune delle contraddizioni caratteristiche della società capitalistica, non furono poi in grado di proporre un’alternativa realmente progressiva. Il più importante esponente di questa corrente, che Marx ed Engels chiamarono del socialismo piccolo-borghese, fu l’economista svizzero Sismondi, il quale sostenne la necessità di un ritorno al corporativismo precapitalistico. Anche coloro che, in Germania, pretesero di essere giunti al «vero» socialismo semplicemente in seguito a un’esposizione puramente letteraria e filosofica di idee che non avevano alcun legame con la realtà tedesca, sono da considerarsi rappresentanti del socialismo reazionario. Esponenti di questa corrente furono tra gli altri: M. Hess, K. Grün e B. Bauer.
Il socialismo conservatore borghese, di cui Proudhon fu il più famoso esponente, sostenne in modo abbastanza sistematico che la lotta di classe nella società moderna doveva essere abolita, ma ciò non veniva concepito come il risultato dell’abolizione del modo di produzione capitalistico, bensì era presentato come conciliazione pura e semplice di interessi di classe in realtà opposti. Marx ed Engels denunciarono questi tentativi come oggettivamente coerenti con gli obiettivi della borghesia.
Il socialismo e comunismo critico-utopistici furono senz’altro i più importanti tra i movimenti precedenti al marxismo, sia storicamente che sotto il profilo teorico. Saint-Simon, Fourier, il comunista Cabet in Francia e Owen in Inghilterra possono essere considerati gli esponenti più rappresentativi di questa tendenza. Le loro teorie costituirono una prima critica radicale della società capitalistica, condotta tuttavia senza che ad essa corrispondesse un’adeguata analisi scientifica delle condizioni storiche e materiali che possono formare le premesse per la nascita di una vera e propria organizzazione socialista della produzione.
«Gli inventori di questi sistemi ravvisano bensì il contrasto tra le classi e l’azione degli elementi dissolventi nella stessa società dominante, ma non scorgono dalla parte del proletariato nessuna funzione storica autonoma, nessun movimento politico che gli sia proprio… Al posto dell’azione sociale deve subentrare la loro azione inventiva personale; al posto delle condizioni storiche dell’emancipazione, condizioni fantastiche; al posto del graduale organizzarsi del proletariato come classe, una organizzazione della società escogitata di sana pianta. La storia universale dell’avvenire si risolve per essi nella propaganda e nell’esecuzione pratica dei loro piani sociali» Manifesto, p. 63.
Nell’esaminare le teorie dei socialisti utopistici, Marx ed Engels distinsero nettamente tra gli aspetti effettivamente critici e rivoluzionari delle loro concezioni e quelli più legati al periodo storico in cui ebbero luogo i loro «esperimenti» di costruzione di piccole comunità organizzate in modo comunitario, che fu contraddistinto dall’ancora oggettivamente scarso sviluppo materiale del proletariato. Inoltre se l’utopismo poteva essere compreso e giustificato storicamente negli anni precedenti al 1830, esso divenne nei seguaci dei primi socialisti critici un grave limite che li spinse a svolgere un ruolo negativo nei confronti della coscienza rivoluzionaria della classe operaia.
«L’importanza del socialismo e del comunismo critico-utopistici è in ragione inversa allo sviluppo storico. A misura che la lotta tra le classi si sviluppa e prende forma, questo fantastico elevarsi al di sopra di essa, questo fantastico combatterla perde ogni valore pratico, ogni giustificazione teorica. Perciò anche se gli autori di questi sistemi erano per molti aspetti rivoluzionari, i loro scolari formano sempre delle sette reazionarie. Essi tengono fermo alle vecchie opinioni dei maestri, in opposizione al progressivo sviluppo storico del proletariato» ivi, p. 65.
Più coerentemente legato alla lotta della classe operaia fu, in Inghilterra, il Cartismo che divenne un vero e proprio movimento politico in seguito all’adesione di una parte consistente della classe operaia alle rivendicazioni proposte nella «Carta», in cui erano affermati i diritti fondamentali dei lavoratori. Il Cartismo può essere considerato come il diretto precursore del movimento socialista nel senso moderno della parola. Tuttavia, soprattutto per la mancanza di una teoria rivoluzionaria che ne guidasse l’azione, il suo sviluppo fu oggettivamente limitato al periodo precedente al 1848.
Se il socialismo utopistico criticava la società capitalistica e denunciava più o meno coerentemente lo sfruttamento degli operai perché «ingiusto», Marx ed Engels, attraverso l’elaborazione della concezione materialistica della storia (Materialismo storico) e la scoperta del modo concreto in cui si sviluppa la produzione di plusvalore e del ruolo fondamentale che esso svolge nella produzione capitalistica, hanno fondato il socialismo scientifico.
Sul significato che deve essere attribuito all’espressione «scientifico» sono sorte e sono attualmente in corso numerose discussioni e polemiche. Risulta immediatamente evidente, infatti, che la teoria proposta dal marxismo non può essere considerata una scienza in tutto e per tutto identica, in quanto all’oggetto studiato e al metodo di analisi, alle discipline scientifiche che vengono solitamente definite «naturali» ed «esatte». Tuttavia gli stessi Marx ed Engels si riferirono più volte alle loro concezioni definendole scientifiche (Scienza). Una prima motivazione può essere ricercata nel fatto che con ciò intendevano sottolineare le differenze profonde che separano il materialismo storico dalle interpretazioni dei socialisti utopistici. Ma esiste anche un motivo inerente in modo diretto al contenuto e al metodo della loro analisi della società capitalistica.
Infatti l’affermazione della necessità di una trasformazione in senso socialista della produzione e della società non è, nel marxismo, fondata su considerazioni di carattere esclusivamente morale o ideologico, ma è, secondo l’espressione di Marx stesso, dimostrata sulla base dell’analisi delle contraddizioni fondamentali del modo di produzione capitalistico, condotta, appunto, in modo scientifico, principalmente grazie a una nuova concezione dell’economia politica e delle sue categorie. Per il marxismo le classi in lotta tra loro esistono, e sono storicamente esistite, soltanto in presenza di particolari condizioni storiche della produzione (Divisione del lavoro); inoltre la fase capitalistica della lotta di classe può essere superata solo con la dittatura del proletariato; infine la soppressione delle classi e l’estinzione dello Stato potranno essere ottenute soltanto dopo che la produzione realizzata con mezzi di produzione di proprietà statale abbia determinato nella stessa società socialista le condizioni storiche per la nascita del comunismo.
Il proletariato, e in particolar modo la classe operaia, può, realizzando la sua egemonia o dittatura, porre le basi per il superamento della divisione in classi non solo e non principalmente perché, come giustamente affermavano i socialisti utopistici, è la classe che soffre più di tutte le altre, ma soprattutto perché è la sola parte della società che, per il posto che occupa nei rapporti di produzione, deve, per diventare classe dominante, abolire e distruggere la proprietà privata dei mezzi di produzione e con ciò stesso abolire «anche le condizioni di esistenza dell’antagonismo di classe e le classi in generale, e quindi anche il suo proprio dominio di classe».
Dizionario enciclopedico marxista
www.resistenze.org
a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare di Torino
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