Nella teoria economica il termine indica l’eccedenza di prodotto e quindi di valore, la cui forma, volume e modo di appropriazione e di utilizzazione dipendono dal grado di sviluppo delle forze produttive e dal corrispondente carattere dei rapporti di produzione.
Analizzando il fatto che lo scambio di un prodotto comporta per il suo proprietario qualcosa di più di ciò che egli aveva speso nella produzione della merce, si pone il problema dell’origine di questa eccedenza. Una prima spiegazione, che individuava nello scambio il motivo dell’incremento di valore, considerava l’eccedenza come dovuta al fatto di vendere una merce al di sopra del suo valore. Marx trasferì nella sfera della produzione il potere di creare ricchezza e il surplus utilizzabile per l’accumulazione e, per spiegare la differenza tra la quantità di lavoro contenuta in una merce e il valore della forza-lavoro, introdusse la nozione di plusvalore.
All’interno di questo ordine di considerazioni, il surplus ha avuto nel pensiero economico, diverse e spesso anche opposte definizioni, soprattutto in relazione all’estensione del suo concetto nei confronti dei fenomeni economici: si è distinto, per esempio, tra surplus effettivo e potenziale, indicando con il primo termine la differenza tra la produzione effettiva e il consumo effettivo della società e, con il secondo, la differenza tra il prodotto che si potrebbe ottenere in un dato ambiente naturale e tecnologico e ciò che si potrebbe considerare come consumo indispensabile. Entrambe queste nozioni differiscono da quella di plusvalore: nel primo caso essendo unicamente quella parte del plusvalore che viene accumulata ed escludendo quindi il consumo della classe capitalistica, le spese amministrative, ecc.; nel secondo comprendendo, oltre a ciò, quella parte di prodotto perduto per la sottoutilizzazione degli impianti o per un impiego irrazionale delle risorse produttive.
Si è parlato anche di surplus economico pianificato, riferito al modo di produzione di una società socialista, come differenza tra la produzione ottimale che la società potrebbe ottenere attraverso l’utilizzazione pianificata (Pianificazione) delle risorse e una determinata quota ottimale di consumo. In questo caso il volume del surplus prodotto non sarebbe determinato dai meccanismi del profitto, ma da un piano razionale di organizzazione dei consumi sociali. Dipendendo dal grado di sviluppo delle forze produttive e dei bisogni umani, esso potrebbe risultare sia maggiore che minore del surplus realizzato in condizioni capitalistiche di produzione.
Il rapporto capitalistico ha come presupposto la separazione tra i lavoratori e la proprietà delle condizioni di realizzazione del lavoro... Dunque la cosiddetta accumulazione originaria non è altro che il processo storico di separazione del produttore dai mezzi di produzione. Esso appare 'originario' perché costituisce la preistoria del capitale e del modo di produzione ad esso corrispondente.
La parola si usa per indicare uno strato della popolazione che per una o più caratteristiche non può essere assegnato a una classe o che, all'interno di questa, si differenzia in modo particolare.
Questo termine, che letteralmente vuol dire «<em>che non è in nessun luogo</em>», viene usato nel marxismo in due modi diversi, uno negativo e l'altro positivo.
Concezione che contrappone alla necessità dell'organizzazione consapevole, l'azione spontanea priva di una direzione politica, di una centralizzazione organizzativa, di una prospettiva complessiva verso cui indirizzare la lotta di classe.
Il termine indica la formazione economico-sociale in cui la base dei rapporti di produzione è costituita dalla proprietà privata sia dei mezzi di produzione sia del produttore stesso, che, in questo caso, appartiene di diritto al padrone.
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