Stavo percorrendo il lungo corridoio del metrò in direzione Porte de la Chapelle. Ero stretta nella folla delle ore di punta. Dovevo procedere diritto davanti a me, altrimenti rischiavo di farmi calpestare. L’onda scorreva con lentezza. Eravamo serrati gli uni agli altri, e il corridoio diventava più angusto via via che ci avvicinavamo alla scala per scendere al treno. Non potevo tornare indietro e, lasciandomi trascinare, avevo l’impressione di dissolvermi nella folla. Sarei scomparsa del tutto prima ancora di arrivare in fondo al corridoio.
Al binario, mi sono detta che non sarei mai riuscita a liberarmi. Sarei precipitata dentro una carrozza stretta nella morsa di persone attorno a me. Poi, a ogni stazione, un nuovo flusso di viaggiatori sarebbe entrato nel vagone respingendomi sempre più in fondo.
Il treno si è fermato. Mi hanno spintonata, ma sono riuscita a liberarmi lasciandomi trascinare dai passeggeri in uscita. Mi sono ritrovata all’aria aperta. Di nuovo, ero viva. Ripetevo a voce alta il mio nome, cognome, data di nascita, per convincermi che ero proprio io.
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