Per il funzionamento del concetto, affinché esso possa sottomettere la differenza, occorre che la percezione, entro ciò che si dice il diverso, colga delle somiglianze globali (che saranno scomposte poi in differenze e identità parziali); che ogni rappresentazione nuova si accompagni a rappresentazioni che esibiscano tutte le somiglianze; allora in questo spazio della rappresentazione (sensazione-immagine-ricordo), si porrà il somigliante alla prova del livellamento quantitativo e all’esame delle quantità graduate; si costituirà il grande quadro delle differenze misurabili. E nell’angolo del quadro, là dove, in ascisse, il minimo scarto delle quantità raggiunge la minima variazione qualitativa, al punto zero, si ha la somiglianza perfetta, la ripetizione esatta. La ripetizione che, nel concetto, non era se non la vibrazione impertinente dell’identico, diviene nella rappresentazione il principio di programmazione del simile. Ma chi riconosce il simile, l’esattamente simile, quindi il meno simile – il più grande e il più piccolo, il più chiaro, il più scuro? Il buon senso. Il buon senso che riconosce, che istituisce le equivalenze, che fiuta gli scarti, che misura le distanze, che assimila e ripartisce, è la cosa che meglio al mondo divide. Esso regna sulla filosofia della rappresentazione. Pervertiamo il buon senso, e facciamo scorrere il pensiero fuori dal quadro ordinato delle somiglianze; esso appare allora come una verticalità di varie intensità; infatti l’intensità, molto prima d’essere graduata dalla rappresentazione, è in sé stessa una pura differenza: differenza che si sposta e si ripete, differenza che si contrae o si espande, punto singolare che rinserra e disserra, nel suo avvenimento acuto, indefinite ripetizioni. Il pensiero va pensato come irregolarità intensiva. Dissoluzione dell’io.
Differenze misurabili
Crediti
Quotes per Michel Foucault
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