Milioni di bengalesi pagano per uno stile di vita opulento di cui loro non hanno mai goduto. Pensa se non avessi mai toccato una sigaretta in vita tua ma fossi costretto a addossarti i danni alla salute provocati da un fumatore incallito dall’altro lato del pianeta. Pensa se quel fumatore rimanesse sano e in cima al grafico della felicità – a fumare sempre più sigarette ogni anno, per soddisfare la propria dipendenza – e intanto tu avessi un cancro ai polmoni.
Più di ottocento milioni di persone al mondo sono denutrite e quasi seicentocinquanta milioni sono obese. Più di centocinquanta milioni di bambini sotto i cinque anni sono rachitici per la malnutrizione. Ecco un’altra cifra su cui vale la pena di riflettere. Pensa se tutti gli abitanti di Gran Bretagna e Francia avessero meno di cinque anni e non avessero abbastanza da mangiare per crescere bene. Tre milioni di bambini sotto i cinque anni muoiono di denutrizione ogni anno. Durante l’Olocausto sono morti un milione e mezzo di bambini.
La terra che potrebbe nutrire le popolazioni affamate viene invece riservata al bestiame che nutrirà popolazioni ipernutrite. Quando pensiamo allo spreco di cibo, dobbiamo smettere di immaginare pasti mangiati a metà e invece concentrarci sullo spreco creato per mettere il cibo nel piatto. Possono volerci fino a ventisei calorie di mangime perché un animale produca una sola caloria di carne. Jean Ziegler, ex relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto al cibo, ha scritto che destinare cento milioni di tonnellate di cereali e mais alla produzione di biocarburanti è un «crimine contro l’umanità», in un mondo in cui quasi un miliardo di persone soffrono la fame.
Potremmo definire quel crimine un «omicidio preterintenzionale». Ma Ziegler non ha aggiunto che ogni anno l’allevamento destina una quantità sette volte maggiore di cereali e mais – sufficiente a sfamare tutte le persone denutrite del pianeta – all’allevamento di animali che diventeranno cibo per la popolazione ricca. Potremmo definire quel crimine un «genocidio».
Quindi no, l’allevamento intensivo non «nutre il mondo». L’allevamento intensivo affama il mondo, e intanto lo distrugge.
Direi che questo metterà a tacere quella controargomentazione.
Spesso ho sentito un’argomentazione parallela: promuovere un’alimentazione a base vegetale è elitario.
In che senso elitario? Non tutti hanno le risorse per rinunciare ai prodotti di origine animale. Ventitré milioni e mezzo di americani vivono in deserti alimentari e quasi la metà di loro ha un reddito basso. Nessuno sarebbe disposto a sostenere che i poveri debbano pagare per i comportamenti dei ricchi con inondazioni, carestie e altre catastrofi. Ma allora come fai a pretendere che paghino per comprare cibi costosi? Quindi? È vero che una dieta sana tradizionale è più costosa di una dieta malsana – in un anno, costa circa 550 dollari in più. E tutti dovrebbero, di diritto, avere accesso a cibo sano a un prezzo abbordabile.
Ma una dieta vegetariana sana costa, in media, 750 dollari meno di una dieta sana a base di carne.
(Per dare un’idea, il reddito medio annuo di un lavoratore americano a tempo pieno è di 31.099 dollari.) In altre parole, una dieta vegetariana sana costa 200 dollari in meno all’anno di una dieta tradizionale malsana. Senza considerare i soldi che si risparmiano prevenendo diabete, ipertensione, malattie cardiache e cancro – tutte associate al consumo di prodotti di origine animale. Quindi no, non è elitario sostenere che è preferibile seguire una dieta più economica, più salutare e più sostenibile dal punto di vista ambientale. Sai che cosa mi sembra elitario, invece? Quando qualcuno usa l’esistenza di persone che non hanno accesso a cibo sano come scusa per non cambiare, e non come motivazione per aiutare quelle persone.
Altre controargomentazioni? Che mi dici dei milioni di contadini che perderebbero il lavoro? Che mi dici? Oggi ci sono meno contadini in America di quanti ce ne fossero ai tempi della Guerra di secessione, nonostante la popolazione americana sia più che decuplicata. E se si avverasse il sogno supremo dell’industria dell’allevamento, presto non ce ne sarebbero più, perché gli «stabilimenti» sarebbero completamente automatizzati. Mi ha piacevolmente sorpreso scoprire che gli allevatori erano tra i massimi sostenitori di Sé niente importa: disprezzano l’allevamento industriale non meno degli attivisti per i diritti degli animali, anche se per motivi diversi.
La crisi del pianeta renderà più difficile e costoso allevare animali, con la siccità che riduce le rese cerealicole e gli eventi climatici estremi come gli uragani, gli incendi indomabili e le ondate di caldo che uccidono il bestiame. Già oggi i cambiamenti climatici stanno provocando gravi perdite agli allevatori di bestiame in tutto il mondo. Sul lungo periodo, la transizione alle energie rinnovabili, all’alimentazione a base vegetale e a pratiche di allevamento sostenibile creerà più posti di lavoro di quelli che spariranno. Questi cambiamenti contribuiranno anche a salvare il pianeta, e che senso avrebbe salvare i contadini senza salvare il pianeta? Che altro? Non tutti i prodotti di origine animali sono dannosi per l’ambiente.
Che è una stronzata perché…? Non è una stronzata. È possibile allevare un numero relativamente piccolo di animali in modo ecosostenibile. Si è sempre fatto così, fino all’avvento dell’allevamento intensivo. È anche possibile fumare senza danneggiare la salute. Un’unica sigaretta non ha alcun effetto.
Possiamo salvare il mondo prima di cena
traduzione di Irene Abigail Piccinini
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