È il corpo che muore, in fin dei conti
Sono tante le cose brutte nell’avere un corpo. È talmente vero che non ci sarebbe bisogno di esempi, ma citiamo solo brevemente il dolore, le ferite, i cattivi odori, la nausea, la vecchiaia, la gravità, la sepsi, la goffaggine, la malattia, i limiti, ogni singolo scisma tra i nostri desideri fisici e le nostre reali capacità. Qualcuno dubita che ci serva aiuto per riconciliarci? Che ne abbiamo un disperato bisogno? È il corpo che muore, in fin dei conti.
Certo, avere un corpo ha anche aspetti magnifici, è solo che coglierli e apprezzarli in tempo reale è molto più difficile. Al pari di certe rare epifanie parossistiche dei sensi (come sono contento di avere gli occhi per vedere questo tramonto eccetera) i grandi atleti sembrano catalizzare la nostra consapevolezza di quanto sia meraviglioso toccare e percepire, muoversi nello spazio, interagire con la materia. Vero è che gli atleti sanno fare con il corpo cose che il resto di noi può solo sognarsi. Ma sono sogni importanti: compensano molte cose.

Crediti
 David Foster Wallace
 Federer come esperienza religiosa
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