Self portrait
Mentre faceva senza pace su e giù per il corridoio, o si aggirava per casa in cerca di qualche porta mai trovata, dentro Eugene si agitava qualcosa di lucente e ferito, come un uccellino in trappola. Questa cosa lucente, il nucleo pulsante che era in lui, il suo Straniero, continuava a torcere la testa di qua e di là, incapace di guardare l’orrore, finché alla fine fermò lo sguardo, come sotto l’effetto di qualche terribile incanto ipnotico, fissando negli occhi la morte e le tenebre. E la sua anima sprofondò, annegò in quell’abisso senza fondo: sentì che non sarebbe mai più riuscito a sfuggire a questo fluire asfissiante di dolore e di bruttura, all’orrore e alla pietà che eclissano ogni altra cosa. E camminando girava la testa da ogni parte, e sferzava l’aria battendo il braccio come fosse un’ala, come se lo avessero colpito alle reni. Sentiva che avrebbe potuto essere pulito e libero, se solo avesse potuto evadere in un’unica bruciante passione – violenta e torrida e abbagliante: amore, odio, terrore o disgusto. Invece era prigioniero, e soffocava, nella rete della futilità.

Crediti
 Thomas Wolfe
 O Lost
 SchieleArt •  Self portrait • 1915



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