Multiculturalismo e religioneDerrida sviluppa anche una critica all’essenzialismo, cioè alla credenza che esistano entità fisse ed essenziali che definiscono gli individui o le culture. Per Derrida, le identità culturali, nazionali o personali sono semplicemente costruzioni storiche e discorsive, e non realtà ontologiche. Questo approccio si connette con la sua decostruzione delle gerarchie binarie, come proprio/altro, universale/particolare. Nel contesto del multiculturalismo, critica le politiche che intendono preservare le culture come se fossero entità statiche e immutabili. Sostiene che il multiculturalismo autentico non consiste nel proteggere le identità culturali in uno stato puro, ma nel riconoscere che tutte le culture sono in costante trasformazione e in dialogo con altre. Derrida argomenta che il multiculturalismo non è la celebrazione dell’altro come qualcosa di fisso e separato, ma il riconoscimento che il proprio è sempre composto dall’altro. Per esempio, nelle società multiculturali contemporanee, questiona la tendenza a trattare le differenze culturali come categorie fisse che devono essere gestite o integrate in un quadro omogeneo. In luogo di ciò, propone un approccio che riconosca la fluidità e la molteplicità delle identità culturali, permettendo che le differenze si esprimano senza essere ridotte a categorie predefinite.

Nell’ambito della religione, Derrida introduce il concetto di religione senza religione, come una forma di approcciare il sacro e il trascendente senza ricorrere a dogmi o credenze specifiche. Questo approccio si sviluppa in testi come Spettri di Marx e Fede e sapere, dove esplora come le strutture religiose siano presenti anche nelle tradizioni secolari. Derrida usa il termine messianico per descrivere un’apertura verso il futuro, un’attesa di qualcosa che sta per venire, ma che non si realizza mai completamente. Questo concetto non si riferisce al Messia in un senso tradizionale o teologico, ma a una struttura di promessa e aspettativa che attraversa tanto le religioni quanto le ideologie secolari. Il messianico non appartiene a nessuna religione specifica, ma è la struttura stessa della promessa, il richiamo all’altro, a ciò che sta per venire. Un esempio di questo approccio è l’idea di giustizia nelle lotte sociali e politiche. Derrida segnala che la giustizia come ideale è sempre a venire e non può mai essere pienamente raggiunta. Come abbiamo visto, questo orizzonte messianico è ciò che spinge i movimenti sociali a continuare a lottare, anche quando affrontano ostacoli apparentemente insormontabili.

Derrida critica le istituzioni religiose tradizionali per la loro tendenza a monopolizzare il concetto di sacro, escludendo coloro che non aderiscono ai loro dogmi. Invece, la sua religione senza religione suggerisce un’apertura verso il trascendente che non dipende da sistemi chiusi né da credenze. Questo lo porta a questionare la relazione tra fede e ragione, argomentando che entrambe sono profondamente intrecciate. La fede, dice, non è l’opposto della ragione; entrambe sono modi di rispondere all’ignoto, di aprirsi all’altro. Derrida non crede nella nozione di Dio assoluto e statico. In luogo di credere in un essere trascendentale dato, Derrida dice di credere nel concetto di un Dio a venire, in una figura aperta e indefinita che non si raggiunge mai pienamente. Per Derrida, questa idea rappresenta l’apertura infinita verso l’ignoto, uno spazio di possibilità e aspettativa. Il suo approccio destablizza le certezze religiose tradizionali, invitandoci a riflettere sulla spiritualità come una ricerca costante, segnata dall’incertezza e dalla trascendenza di ciò che è prevedibile.

È anche interessante affrontare il concetto di Derrida sul perdono e la fede in un mondo post-secolare. Per Derrida, il perdono autentico è incondizionato e, quindi, quasi impossibile da realizzare nell’ambito umano. Il perdono non può dipendere da condizioni o requisiti, come il pentimento del colpevole o la riparazione del danno. Se il perdono è condizionato, cessa di essere perdono e si trasforma in una forma di negoziazione. Il perdono, per lui, può esistere solo quando è concesso all’imperdonabile, a ciò che non può essere giustificato o spiegato. Questa concezione del perdono ha profonde implicazioni etiche e politiche in contesti di giustizia transazionale, come i processi di riconciliazione in Sudafrica dopo l’apartheid, che suggeriscono che il perdono incondizionato non deve essere visto come un obiettivo pratico, ma come un ideale che orienta le nostre azioni. Si riconosce però che questa incondizionalità entra in conflitto con le esigenze di giustizia che spesso richiedono condizioni e riparazioni. Derrida esplora come le società contemporanee, anche apparentemente secolari, siano impregnate di strutture religiose. La fede, in questo senso, non si limita alla credenza nel divino, ma include qualsiasi forma di apertura verso l’incerto, verso ciò che non si può prevedere né controllare. Derrida argomenta che persino la ragione dipende da una forma di fede, poiché presuppone una fiducia nei propri principi e metodi. La fede, afferma, non è un’esclusiva della religione, è una condizione di possibilità per qualsiasi forma di pensiero o azione. Questo approccio post-secolare alla fede e al perdono ha l’obiettivo di sfidare le dicotomie tradizionali tra il religioso e il secolare, mostrando come entrambe le sfere siano profondamente interconnesse.

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  • La causa vera di tutti i nostri mali, di questa tristezza nostra, sai qual è? La democrazia, mio caro, la democrazia, cioè il governo della maggioranza. Perché, quando il potere è in mano d'uno solo, quest'uno sa d'esser uno e di dover contentare molti; ma quando i molti governano, pensano soltanto a contentar sé stessi, e si ha allora la tirannia più balorda e più odiosa: la tirannia mascherata da libertà.
     Luigi Pirandello  

  • Ecco, secondo me, come nascono le tirannie. Esse hanno due madri. Una è l'oligarchia quando degenera, per le lotte interne in satrapia. L'altra è la democrazia quando, per sete di libertà e per l'inettitudine dei suoi capi, precipita nella corruzione e nella paralisi. Allora la gente si separa da coloro cui fa la colpa di averla condotta a tale disastro e si prepara a rinnegarla prima coi sarcasmi, poi con la violenza che della dittatura è pronuba e levatrice. Così la democrazia muore: per abuso di sé stessa. E prima che nel sangue nel ridicolo.
     Platone    La Repubblica

  • La democrazia capitalista prospera solo con la libertà, ma crolla sotto la pressione di classi in conflitto
     Milton Friedman    Capitalismo e libertà

  • Quanto al nome era una democrazia, ma di fatto era il governo di uno solo.
     Tucidide  

  • Un dialogo autentico è un atto di resistenza contro l'autoritarismo e una via per rafforzare la democrazia.
     Luigi Ferrajoli    Democrazia e dialogo

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