Balzac è stato, come pochi altri, una grande nave scuola per gli scrittori. Nella sua sconfinata, infantile e commovente libertà ha aperto un’infinità di strade, che molti scrittori dopo di lui hanno potuto percorrere in modo altrettanto originale e libero. La sua opera è in perenne tensione e in metamorfosi incessante, in Balzac sulla pienezza prevale la metamorfosi, cioè quella forza intima che gli antichi credevano possibile, presente e agente dentro la vita e addirittura nel cuore stesso della vita e alla quale i moderni invece non credono più. Perché in Balzac anche la pienezza viene messa in sofferenza, non può bastare a sé stessa, si squarcia continuamente. Tutto ciò – se la metamorfosi esista o meno, se sia possibile o meno – non ha solo rilevanza a livello di pensiero e di invenzione del mondo ma anche a livello narrativo e artistico. Perché, se questa forza non è più possibile e non è più attingibile e presente, se non può più fare irruzione nella vita e anche nelle opere letterarie, se c’è solo la linearità edificante, progressiva o regressiva, del presunto progresso umano o, al suo contrario speculare, del regresso e del nulla, allora anche la forma del romanzo – questa grande invenzione espansiva, perigliosa e libera di immaginazione e pensiero che ha avuto un grande momento di esplosione irradiante nell’Ottocento e alla quale Balzac ha dato un impulso formidabile – perde la sua potenza di figurazione, prefigurazione, precognizione e pensiero, diventa un inventario del nulla, della vita privata della sua potenza interna e lobotomizzata. Ciò non riguarda solo le forme narrative ma anche la loro potenzialità, la loro vettorialità, la loro portata e il loro campo di forze…. A me pare che la forza della critica stia nella sua capacità di fare ponte, di rovesciare le zolle, di arare il terreno per renderlo di nuovo fertile, di svolgere la nobile funzione del lombrico. Invece raramente succede questo, tanto più in questa epoca. Le concatenazioni culturalistiche e concettuali che hanno preso il sopravvento soprattutto nel Novecento e, in particolare, nella seconda metà del Novecento, il procedere della cultura attraverso la proliferazione delle separazioni, delle astrazioni e delle antinomie e l’allontanamento e il raffreddamento dei corpi vissuto come unico movimento ancora possibile – mentre ne può esistere anche un altro che tende invece alla concentrazione e alla fusione – rendono spesso la critica di questa epoca sempre più inerte, quando non dannosa, terminale e mortuaria nella sua ormai totale autorappresentazione e identificazione con l’aggressore. Questo non solo oggi, purtroppo, perché è lungo l’elenco dei critici del passato, anche dei più celebrati, che non hanno capito niente degli scrittori che avevano sotto il naso, i quali sono stati invece compresi, amati e salvati da altri scrittori e artisti….
Esplosione irradiante nell’Ottocento
Crediti
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