Essenza metaforica della verità
Come critico della decadenza moderna, Nietzsche prende di mira anche un altro dei pensieri dominanti della sua epoca: la fede nella verità oggettiva. In uno dei suoi scritti giovanili – più o meno contemporaneo alle grandi opere del primo periodo, come La nascita della tragedia o Considerazioni inattuali – che si intitola su Verità e menzogna in senso extra-morale, un frammento rimasto inedito, perché non lo ha mai finito, ci sono importanti rilievi su questo tema.

L’idea che la verità, in fondo, non sia il rispecchiamento delle cose come sono, ma la produzione di determinate metafore, che a un certo punto vengono accettate e canonizzate socialmente come vere. Il primo passaggio, il primo passo di questo discorso, è il rilievo su come si formano le parole e poi i concetti. Scrive Nietzsche nel primo capitolo di questo frammento: Uno stimolo nervoso tradotto anzitutto in un’immagine! prima metafora. L’immagine a sua volta trasformata in un suono! seconda metafora. E ogni volta un completo salto di orizzonte, dentro uno nuovo e del tutto diverso. Lui, fa questa descrizione, sappiamo che metafora, vuol dire trasporto, trasferimento, noi metaforicamente parlando, per leone, ad esempio, intendiamo il coraggio, invece qui, per metafora s’intende, che c’è un oggetto fuori di me e c’è un’immagine di quest’oggetto nella mia mente, che è un primo trasporto, ma anche una differenza; poi, per indicare questa immagine che ho nella mente, c’è la parola, il suono, e seconda metafora. Questa è la base, secondo Nietzsche, per tenere a mente che la verità è sempre basicamente metaforica: cosa ci può essere di vero dunque, nel nostro discorso, se questo è figlio di trasporti, di passaggi che non garantiscono nessuna vera continuità?

In un’altra pagina, di questo saggio, Nietzsche scrive poi: Che cos’è dunque la verità? Un esercito mobile di metafore, metonimie, antropomorfismi, in poche parole, una somma di relazioni umane che sono formate, tradotte, ornate poeticamente e retoricamente, e che dopo lungo uso sono sembrate fisse, canoniche e obbligatorie. Possiamo vedere attraverso questa lettura, che le parole, in realtà, sono nostre invenzioni per indicare delle immagini che sono già nella nostra mente e non gli oggetti stessi, e poiché queste parole sono state usate per molto tempo, ci siamo abituati ad esse, fatalmente ci sembra che siano la verità sull’oggetto. Un dubbio affiora però, non ci sembra del tutto normale che il cane si chiami cane, e se cambia la lingua, diventa dog, chain, perro; su questo naturalmente da molti secoli il pensiero ha riflettuto, e ancora oggi la filosofia è coinvolta nel pensare questo rapporto tra le designazioni mentali degli oggetti e gli stessi. Nietzsche rileva, che il linguaggio, della verità, è imposto rispetto ad altri possibili linguaggi. Faccio un esempio per illustrare questa cosa: noi, quando andiamo a fare la domanda per ottenere l’atto di nascita in Comune – oggi non si usa più fortunatamente – dobbiamo scrivere in italiano, se lo facessimo in dialetto sarebbe un problema, perché, scrivendo allo stesso modo come abbiamo imparato a parlare tra di noi o con i nostri fratelli e sorelle, non ci capirebbe nessuno. Tutti abbiamo dei linguaggi famigliari, chiamiamo nostro cugino con un nomignolo, che però conoscono soltanto gli intimi, soprannomi, espressioni di famiglia, di gruppo, di clan, tutto ciò, appartiene al sistema metaforico, di quello che è il linguaggio privato, sentimentale. Ecco dunque, che per intendersi gli uomini, devono scegliere un sistema metaforico unico; metafore canonizzate, che sono poi, quelle che costituiscono la lingua ufficiale che dobbiamo parlare.

Se la verità è un esercito mobile di metafore, ciò non vuol dire appunto che non ci sia questa verità, solo che dobbiamo saperne l’essenza metaforica, il che significa, che noi diciamo il vero quando adoperiamo le metafore collettive, nonostante, si siano imposte, quando le usiamo secondo le norme prescritte. Ecco allora, se siamo in Italia, chiameremo cane il cane e non dog il cane, perché sennò, nessuno ci capisce e non è che ci puniscono per questo, ma già è una punizione sufficiente il non riuscire a farsi capire. La verità cambia spesso fisionomia, la sua essenza, e non è vero ciò che descrive le cose come stanno, ma ciò che enuncia le nostre esperienze del mondo secondo un linguaggio che è accettato da una collettività, canonizzato, per una qualche ragione, in una comunità, che sia linguistica o degli scienziati. Noi non capiamo certe dimostrazioni della fisica quantistica, per esempio, non perché non parliamo l’italiano, ma perché non ci siamo addestrati studiando il manuale di fisica quantistica; anche quello è un sistema di metafore che bisogna conoscere, accettare. Ci sono oggi dei teorici della scienza che asseriscono, di quanti studiano fisica, che non s’impara soltanto un linguaggio, solo dei dati raccolti dai fisici precedenti, ma è come un noviziato in un ordine religioso. Non direi proprio così, ma certo, imparare un linguaggio in generale, come si sa, è anche imparare una forma di vita; vivere e pensare negli schemi mentali legati a quella lingua. Nietzsche, però, nella sua veduta è stato molto radicale, e la teoria del linguaggio come metafora, forma un pezzo fondamentale della sua filosofia, e la si ritroverà anche nelle opere successive, quando parlerà della volontà di potenza, come pulsione infinita di rinnovamento, dove l’uomo deve continuamente aggiornare il suo punto di vista e mai fissarsi su una presunta verità definitiva. La si può pensare dunque, come uno scontro tra interpretazioni, tra prospettive diverse sulla verità. Se volete, tra linguaggi, e il paragone con la lingua dei colonizzatori e quella dei colonizzati mi sembra significativo: quando una potenza come i romani occupò un territorio come la Galia, gli impose il latino come lingua, poi da qui, nascono le lingue neolatine, si formano le mescolanze, ecc. questo è ciò che di solito accade, ma ci fu un caso insolito, che ha occupato molto gli storici, ed è la Grecia, sempre occupata dai romani, che in qualche modo, finirono a loro volta, catturati dalla cultura greca: la Graecia capta ferum victorem cepit che vuol dire appunto che la Grecia catturata, invasa, catturò il suo vincitore. In realtà, normalmente, la vicenda delle lingue, delle culture, va di pari passo con la vicenda del potere storico, in quella che è la nostra tradizione, per cui, abbiamo tutta questa accentuazione del rapporto tra sistema metaforico che diventa generale e isolamento o marginalizzazione di sistemi metaforici diversi, più liberi, come possiamo vedere, ad esempio, nell’arte, soprattutto quella astratta. Uno che dipinge le mademoiselle di Avignon, come Picasso, con quei nasi stravaganti, quegli occhi che a noi paiono storti, – è difficile innamorarsi delle signorine di Avignon picasiane – cosa fa? Propone una visione della realtà secondo un sistema metaforico che non corrisponde a quello corrente; anche per quanto riguarda l’uso della prospettiva, è lo stesso discorso, ricordiamo, che questa, nella tradizione della pittura europea, dal rinascimento ad oggi, ha sempre avuto valore, ed è stata messa in discussione in maniera decisiva, per la prima volta, da Cezane.

Con le premesse della tesi della Verità come metafora, dove si arriva con Nietzsche? Si arriva veramente alla svalutazione totale anche della scienza, come imposizione sul reale di uno schema che col reale non ha niente a che fare? È molto meno semplicistico di così. Intanto il convenzionalismo della scienza è oggi abbastanza diffuso, anche presso persone che non sono affatto scettiche nei confronti della ricerca scientifica. Ci sono dei teorici che oggi, l’hanno esplicitamente affermato, che una dimostrazione scientifica ha senso, si può capire o condividere male, solo all’interno di un paradigma: cioè, di un certo sistema, dentro la struttura di un determinato linguaggio o simboli, sulla base di certe premesse, che sono risultati acquisiti dalla scienza, in tempi precedenti, ma ottenuti però, sempre in questo modo. Nietzsche, ha chiaramente esplicitato, delle implicazioni che c’erano già, in molte ricerche epistemologiche ottocentesche, che sono poi state riprese all’interno del discorso epistemologico del nostro secolo; è importante tenere presente questi studi, perché innumerevoli possono essere le conseguenze, sia sul piano della concezione dell’interpretazione, sia sul piano della stessa libertà e della democrazia nella nostra vita.

Crediti
 Gianni Vattimo
 Il caso Nietzsche
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