Prima parte
Se in una delle canoniche divisioni della vita umana – quella tripartita in giovinezza, maturità e vecchiaia – la preferenza era data alla maturità, simbolo di pienezza e culmine dello sviluppo dell’individuo, oggi la gioventù e la vecchiaia si dilatano e la maturità si restringe. I giovani tendono a rimanere più a lungo a casa, i vecchi cercano una seconda giovinezza e restano spesso produttivi dopo il pensionamento. Anche per effetto della crisi del welfare state, muta pertanto la trama dell’esistenza individuale e dei rapporti di solidarietà tra le diverse età della vita. Si indeboliscono, in particolare, i legami sociali e la fiducia tra le generazioni. Si potrà introdurre tra loro un nuovo, più equo e lungimirante patto? Quali saranno le modalità di restituzione di risorse materiali e immateriali – cose, sicurezza, affetti, autonomia – alle giovani generazioni?Arriviamo impreparati alle diverse età della vita e spesso vi manchiamo d’esperienza nonostante gli anni.
• • François de La Rochefoucauld •
• •Generazioni
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Fra le diverse e tradizionali divisioni della vita umana – oltre a quella quadripartita secondo le stagioni dell’anno e ad altre scandite, come nelle stampe popolari, in sei e perfino in otto fasi – prevale quella articolata in giovinezza, maturità e vecchiaia. Il motivo della sua netta preponderanza (estesa metaforicamente anche al ciclo vitale delle nazioni e delle civiltà) deriva dalla ripetuta esperienza quotidiana del corso del sole: ascesa, zenit, declino. Al suo interno, la preferenza viene di norma assegnata alla maturità, simbolo di pienezza, di glorioso mezzogiorno, di culmine della parabola dell’esistenza e di raggiunto, felice equilibrio tra memoria del passato e proiezione nell’ avvenire. Secondo le parole di Shakespeare, essa «è tutto», anche se, a dare ascolto a Oscar Wilde, «essere immaturi significa essere perfetti», non rinunciare mai a ulteriori cambiamenti.
Mentre i giovani mirano generalmente alla conquista di beni materiali e immateriali, i vecchi vivono sotto il segno dell’agostiniano metus amittendi, della paura di perdere tutto, di avanzare nel crepuscolo verso l’ignoto o, forse, verso il nulla. Nell’ accorgersi con afflizione che le energie del corpo e dell’animo deperiscono, essi sperimentano un’inarrestabile emorragia di vita. Spesso si affidano perciò a Dio, ripetendo inconsapevolmente le parole del Salmista: «Non mi rigettare nel tempo della vecchiaia, / non mi abbandonare nell’affievolirsi delle mie forze» (Salmo 71, vv. 9-10). Sentono la vita sfuggire, con moto tanto più accelerato, quanto più discendono nella shakespeariana «valle degli anni». La loro paura è allora più inquietante di quella dei più giovani, giacché – come ammoniva agli inizi dell’Ottocento Madame de Lambert nel suo Traité de la Vieillesse – essi sono più consapevoli che «nous ne vivons que pour perdre».

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