Montale e il nestorianesimoL’evocazione del «povero / Nestoriano smarrito» in Iride, la poesia che apre la sezione Silvae della Bufera, permette di precisare la natura particolare della «gnosi» montaliana, che qui ci interessa definire con maggior precisione. I seguaci di Nestorio, patriarca di Costantinopoli dal 428 al 432 e condannato come eretico nel Concilio di Efeso (431), affermavano la presenza in Cristo di due nature, la divina e l’umana, ma negavano che esse fossero unite ipostaticamente, cioè ontologicamente in un’unica persona (o hypostasis). A differenza dei monofisiti, che riconoscevano in Cristo solo la natura divina, Nestorio affermava, come il suo avversario Cirillo, patriarca di Alessandria, il difisismo, ma non intendeva l’unione delle due nature, secondo il modello che Cirillo riuscì a imporre a Roma, kath’ypostasin, cioè ontologicamente in una sola essenza, ma soltanto in un senso per così dire morale, attraverso la persona (prosopon) di Cristo, distinta dall’hypostasis. La dualità, in qualche modo, primeggia così sull’unità, che, affidata solo alla persona morale di Cristo, è in qualche modo indebolita; ed è per questo che i nestoriani furono accusati, a torto, di professare in Cristo due persone.

Si comprende allora perché Montale fosse affascinato dal «povero Nestoriano»: l’unione tra l’umano e il divino, il fango e le stelle, non è mai compiuta una volta per tutte, ma solo, istantanea e imperfetta, «nel sorso e nella briciola». Nell’Intervista immaginaria del 1946, Montale lo afferma senza reticenze, al momento di commentare la figura femminile in Iride, «continuatrice e simbolo dell’eterno sacrificio cristiano»: «Chi la conosce è il Nestoriano, l’uomo che meglio conosce le affinità che legano Dio alle creature incarnate, non già lo sciocco spiritualista o il rigido o astratto monofisita». L’affinità non è un’unione ipostatica, per essenza e natura, ma una difficile e mai definitiva affinità «nella notte del mondo», «perché – conclude la poesia, definita nell’intervista ‘in chiave, terribilmente in chiave’ – l’opera Sua (che nella tua / si trasforma) dev’esser continuata». La redenzione, il riconoscimento e la riconduzione all’origine delle scintille di luce mischiate nel fango non ha mai fine, deve essere incessantemente ripresa.

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 Giorgio Agamben
 Fango e Stelle: la Gnosi Imperfetta di Montale
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