Fascino dell’utopia
Ci si chiede perché mai abbia tanto fascino l’utopia. Non è facile rispondere. C’è in essa un’ardente aspirazione al cambiamento ed essa ha spesso ragione nella critica dell’attuale stato di cose. Il mondo dell’utopismo, però, è schizoide. Volendo radicalmente mutare la realtà effettuale, invece di comprenderla fino in fondo per trasformarla in meglio, prende ben presto congedo da essa: l’utopia diviene sempre, appunto, «non-luogo», fuga dal reale nei cieli fioriti della fantasticheria.
Integralmente manicheista e pessimista per quanto riguarda il passato del cammino umano, e peggio ancora per il presente, sogna ad occhi aperti le magnifiche sorti e progressive della società futura. Essa non si pone mai «il problema del giorno dopo»: quali nuove minacce di alienazione saranno messe in atto dal realizzarsi stesso della rivoluzione, dall’assunzione del potere da parte dell’utopia?
L’utopia, che sorge come rivendicazione di un’assoluta libertà, mette così capo a sistemi di totalitaria oppressione, cinicamente giustificati come vie necessarie al raggiungimento dello scopo.
Il giudizio di Hegel sugli utopisti è di un’implacabile durezza: essi – dice il filosofo di Stoccarda – possono sorgere solo negli interstizi della società, così come i pidocchi che non vivono senza un corpo organico di cui sono parassiti. Io preferisco l’immagine di Baudelaire: l’utopia è come l’albatro, bello nel cielo quando vola, goffo quando tocca terra. Quando però l’utopia è al potere, non è più questione di… goffaggine, bensì di lacrime e sangue. «Nessuna utopia può essere realizzata senza il terrore; ma poi rimane solamente il terrore».