Gli Stati Uniti d’America hanno combattuto oltre un centinaio di conflitti in due secoli e mezzo. Fra guerre mondiali e spedizioni di taglia minima, la neo-nazione inventata dai ribelli antibritannici ha imbracciato le armi più di ogni altra al mondo. Guerre quasi tutte vittoriose nel primo secolo e mezzo, tutte perse o non vinte dopo il 1945. L’ultima e più lunga (2001-2021) è (stata?) quella contro il terrorismo. Modello di uso a-strategico della forza in quanto sfida a un nemico indefinito e cangiante. Conflitto potenzialmente infinito, certamente invincibile. Infatti straperso con il suggello della tragica fuga dall’Afghanistan, il 15 agosto 2021, che si scoprirà prologo del 24 febbraio 2022. La Pax americana è chimera.
Logica imperiale impone di distinguere fra conflitti inevitabili e inutili. I primi, strategici e di imponenti dimensioni, aprono e chiudono fasi della potenza, fissano il rango della nazione fra le altre, segnano la storia universale. Decidono. I secondi accelerano l’entropia del sistema. Derive tattiche antimperiali, che accumulandosi possono indurre negativi effetti strategici. Gli americani hanno ingaggiato e vinto cinque conflitti strategici: il primo, istitutivo dello Stato, è Guerra di indipendenza (1776-1783); il secondo, fondativo della nazione, cosiddetta Guerra di secessione (1861-1865); il terzo, contro la Spagna (1898), termina con il controllo di Cuba e l’acquisizione della prima e ultima colonia, le Filippine, di cui la repubblica non sa che fare; il quarto, Prima guerra mondiale (1917-1918), combattuto nel continente di origine, getta le basi dell’impero; il quinto, Seconda guerra mondiale (1941-1945), lo sigilla. E stabilisce la diffusa presenza militare nel mondo. Eccesso di responsabilità da cui scaturisce il rischio di logorarsi in conflitti insieme antimperiali e antinazionali, perché minano la credibilità americana nel mondo e la disponibilità della nazione a sostenerla. Rischio brillantemente gestito grazie all’antemurale sovietico, ma ormai fuori controllo.
Le Forze armate americane riunite formano una massa di oltre due milioni e duecentomila soldati. Considerandone le ramificazioni, fra cui diciassette milioni di veterani più rispettive famiglie, un americano su tre ha o ha avuto a che fare con la guerra. In termini relativi, nessun’altra potenza esibisce un rapporto simile fra comunità militare e popolazione totale. Coltello a doppio taglio. Formidabile deterrente contro ogni rivale. Ma anche tentazione permanente a risolvere le controversie internazionali armi in pugno, sottoponendo il paese a stress continui, difficilmente giustificabili. Non era questa la postura auspicata dai fondatori.
La disposizione alla violenza degli americani, testimoniata dalla diffusione delle armi e delle milizie armate, non è frutto dell’organizzazione dello Stato ma del temperamento bellicoso della nazione.
Chi ben fa il capitano non è irruente,
chi ben guerreggia non è impetuoso,
chi ben vince il nemico non dà battaglia,
chi bene adopera gli uomini se ne pone al di sotto:
questa è la virtù del non contendere,
questa è la forza dell'adoprar gli uomini,
questo è rendersi eguale al Cielo,
il culmine per gli antichi.
Lao Tzu Tao Te ChingLe élite talassocratiche hanno usato il terrorismo come pedina nel grande gioco, ma la terraferma lo combatte per difendere i popoli dal caos marittimo.
Peter Hopkirk Il grande giocoOggi i giovanissimi sono più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e impreparati alla vita, perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l’autoconsapevolezza, l’autocontrollo, l’empatia, senza i quali saranno capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare.
Umberto Galimberti Gli analfabeti delle emozioniL'arte è uno specchio della psiche, dove ogni pennellata rivela emozioni represse e conflitti inconsci
Lev Vygotskij Psicologia dell'arteIl nevrotico comunque è costretto a compiere questo passo avanti nella sua nevrosi (addossarsi le bassezze e le caratteristiche demoniache che venivano proiettate sugli altri) ma l'uomo normale non lo è, ragion per cui vive il suo disturbo psichico socialmente e politicamente, in fenomeni di psicologia di massa, per esempio sotto forma di guerre e rivoluzioni.
Carl Gustav Jung La psicologia del sogno
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